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Il crono cinema di Nolan

28 Gen

Se c’è un regista che ha fatto del tempo un elemento cardine della sua cinematografia, quello è certamente Christopher Nolan, visionario autore di film che hanno segnato la storia del cinema, come Memento, Inception e Interstellar, nonché la trilogia del Cavaliere Oscuro, alias Batman. Un regista che è andato oltre gli avanti e indietro narrativi, tipici del cinema post moderno, come accade per esempio in Pulp Fiction di Tarantino, in cui lo spettatore deve ricostruire il filo narrativo. Nelle sue pellicole i piani temporali si intrecciano: in Memento partiamo dalla fine e ricostruiamo gli eventi a ritroso. In altri si viaggia avanti e indietro in un tempo che diventa elemento fluido, in cui lo spettatore a volte perde l’orientamento, anche per volontà del regista stesso. Come succede nel suo ultimo enigmatico film Tenet, che Andrea Chimento, ideatore e direttore responsabile del sito Longtake.it, docente di Istituzioni di Storia del Cinema presso l’Università Cattolica di Milano, ci aiuta a decifrare: “Tenet è l’undicesimo film di Nolan. Undici è un numero palindromo, letto in senso inverso mantiene immutato il significato. Anche Tenet è un titolo palindromo. È un film che va avanti nel tempo, poi a un certo punto torna indietro. Ci si smarrisce facilmente, ma Nolan ci invita anche un po’ a perderci. C’è una frase nel film in cui si dice ‘non cercare di comprenderlo. Vivilo, sentilo (feel it)’”. Ed è in questo lungometraggio che la classica battuta ‘sincronizziamo gli orologi’ assume un significato potenziato. Qui i segnatempo hanno infatti un ruolo narrativo: circa mezzora prima della fine i personaggi vanno a sincronizzarli ed è come se sincronizzassero le loro menti. In un caos temporale in cui si risale solo attraverso l’amore, l’altro grande tema del cinema di Nolan, sotteso in quasi tutti i suoi film, anche quelli di fantascienza. Gli orologi attraverso cui ricostruiamo meglio la trama sono modelli realizzati da Hamilton. Non orologi preesistenti che appaiono nelle scene, bensì segnatempo creati apposta all’interno della divisione di Swatch Group dedicata al mondo del cinema, in un processo di sviluppo tecnico, test di qualità e produzione durato quasi due anni.

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Quello tra il brand e Hollywood è un legame consolidato: dal lontano 1932, quando il primo orologio compare nel grande classico Shanghai Express, con Marlene Dietrich, sono passati oltre 80 anni, con più di 500 apparizioni (tra cui 2001 Odissea nello spazio, The Martian, Independence day – Rigenerazione e Man in Black). Nel corso del tempo si è passati da un semplice product placement a un vero e proprio ruolo all’interno della storia narrata. Anche grazie all’impegno del marchio che, conservando il suo spirito americano, ma con la precisione svizzera, collabora fianco a fianco degli scenografi e dei registi per realizzare orologi unici. Come nel caso di Christopher Nolan e del suo capo scenografo Nathan Crowley, con i quali Hamilton aveva già collaborato su un precedente film, Interstellar (2014), che rappresenta il punto di svolta per il ruolo dei segnatempo nel cinema. È qui che per la prima volta gli orologi hanno un significato narrativo all’interno della trama. I due protagonisti, l’astronauta-padre Matthew McConaughey e la figlia dodicenne, Murph, promessa della matematica, comunicano attraverso due orologi identici, con cui il padre, dallo spazio, manda un messaggio in morse attraverso la lancetta dei secondi alla figlia, sulla Terra. E se “Nolan è il regista più importante nell’ambito del cinema contemporaneo per quanto riguarda la modellazione temporale”, come sottolinea Andrea Chimento, attraverso Tenet e il suo regista Nolan, Hamilton consolida il suo ruolo di “the movie brand”.

Christopher Nolan

Nato a Londra nel 1970, Christopher Nolan è un regista, sceneggiatore e produttore britannico ricercato, uno dei più apprezzati da critica e pubblico. Il suo primo film, Following, è del 1998, ma è con Memento, nel 2000, a budget molto basso ma rilievo molto alto, che la sua carriera si impenna. Arriva a dirigere Al Pacino nel successivo Insomnia e, tre anni più tardi, una trilogia importante, quella del Cavaliere Oscuro, che lo porterà ad avere incassi da record. Ama temi psicologici come la natura della memoria, l’identità personale, il confine tra la realtà e la sua percezione individuale, e lo fa attraverso sceneggiature studiate per anni e una narrazione non lineare, in cui le alternanze temporali sono sempre centrali, come in Inception, Interstellar e nell’ultimo nato, Tenet.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su Il Corriere della Sera – Orologi del dicembre 2020

Milla Jovovich, attrice e artista

14 Giu

Quasi ogni Miss, quando le viene occasionalmente data la parola, afferma “da grande mi piacerebbe diventare un’attrice”. Sono poche, però, le modelle che alla fine ce la fanno. Milla Jovovich è l’esempio più eclatante, perché lei non è solo una modella, ma una delle Top model più famose di sempre, finita su oltre 100 copertine nel giro di 20 anni di carriera, iniziata a soli 12 anni quando la rivista italiana Lei la scelse per la sua cover. Era il 1987 e quell’evento, insieme alle foto che le scattò Richard Avedon l’anno prima per una pubblicità, furono il suo trampolino di lancio. Nel 2004 fu la top model più pagata del mondo, con oltre 10 milioni di dollari di ricavi. Ma è praticamente da subito che la fama da modella la fa notare anche ai registi del grande schermo, creandosi una carriera parallela, di tutto rispetto, visto che conta oltre 30 film con registi importanti, che vanno da Luc Besson, a Spike Lee, a Michael Winterbottom, a Wim Wenders e Paul W.S. Anderson.

L’articolo su Milla Jovovich pubblicato su ON di giugno 2012

Nel 1988, a 12 anni, viene scelta per Congiunzione di due lune e, dopo alcuni ruoli per la tv arriva il suo primo film famoso, Ritorno a Laguna blu (1991), Poliziotto in blue jeans e Charlot (1992). Tra i suoi film più belli va certamente annoverato il thriller fantascientifico Il quinto elemento (1997), di Luc Besson, coprotagonista insieme a Bruce Willis, a cui seguì He got game di Spike Lee (1998) e Giovanna D’Arco (1999), che le ha permesso di ritrovare il regista Luc Besson e di recitare assieme a Dustin Hoffman, Faye Dunaway e John Malkovich. Negli anni 2000 la ricordiamo soprattutto per la saga Resident Evil, il cui primo episodio uscì nel 2002 e l’ultimo, il quinto, uscirà il prossimo settembre, sempre diretto da Paul W.S. Anderson.

Nel 2011 è uscito I tre moschettieri, diretto dal marito Paul W.S. Anderson, una versione ampiamente rivisitata rispetto al romanzo di Alexandre Dumas, nel quale Milla ha interpretato il ruolo di Milady De Winter, una donna forte, un’agente che fa il triplo gioco. “Ho sempre pensato che sia una delle donne più moderne nella letteratura”, ha spiegato la Jovovich, amante dei libri di Dumas. “È single, molto intelligente e in grado di trovarsi a suo agio in ambienti diversi della società. A quell’epoca (il romanzo è ambientato nel 600, ndr) una donna doveva essere forte e astuta per potersi barcamenare in un mondo maschile. Nel diciassettesimo secolo si poteva essere mandate in un convento o in manicomio per aver osato replicare al proprio marito. Bisognava essere molto intelligenti per manipolare quegli uomini”.

Milla Jovovich in I Tre Moschettieri

Milla Jovovich ama le storie di Dumas fin da quando era bambina e spiega il suo interesse per il ruolo di Milady De Winter. “Per me, I tre moschettieri è il classico libro divertente e pieno di azione che è impossibile smettere di leggere una volta che hai iniziato. Dumas era uno scrittore fantastico, ogni capitolo ti lascia in sospeso e ti fa venire voglia di sapere cosa accade in seguito”. La passione della Jovovich per la storia e i romanzi storici è reale, come spiega il regista e marito Anderson: “Milla è una grande appassionata di storia. Non ho mai incontrato nessuno che conoscesse meglio la storia europea di lei, che legge continuamente. Era molto interessata all’argomento anche prima che io le parlassi del progetto de I tre moschettieri. Fin da quando la conosco, è molto interessata alle abitudini di quell’epoca, tanto da aver letto diversi libri su questo aspetto e sulla corte reale. Inoltre, è una stilista che sa tutto sui vestiti. Era un periodo che la affascinava e così ha portato una grande passione e delle conoscenze notevoli al suo ruolo”. La Jovovich infatti è anche stilista e, insieme all’amica Carmen Hawck, ha gestito la linea di capi Jovovich-Hawck dal 2003 al 2008, poi cessata perché il business era cresciuto troppo per le loro capacità, artistiche, più che manageriali.

Milla Jovovich in Resident Evil Afterlife

L’attrice parla anche del lato oscuro del suo personaggio. “Sono molto orgogliosa di aver incarnato questo ruolo. Per me non si tratta semplicemente di una cattiva. È vero, Milady spesso non segue le regole, ma non è normale, non è una bella donna che aspetta che gli uomini soddisfino le sue esigenze. Lei mente, inganna e ruba, ma lo stesso fanno anche gli uomini! L’unica differenza è che è una donna, quindi provo una forte simpatia per lei. è considerata una cattiva, ma io rispetto come manda avanti la sua vita”.

Grazie a tutto il lavoro svolto per la serie di Resident Evil, la Jovovich è sempre a suo agio con le scene di stunt che realizza quasi sempre da sola. “Adoro girare le scene d’azione. Sono un’opportunità che amo sfruttare e una cosa che i miei fan apprezzano, quindi sono sempre disponibile a eseguire personalmente tutto quello che posso. Ne I tre moschettieri ho svolto una sequenza d’azione importante, che comprendeva l’uso della spada e mi sono divertita molto. Ho dovuto combattere con dieci guardie mentre mi trovavo nel costume di Milady. Non credo che nessuno abbia mai realizzato una scena d’azione in un vestito del genere, con enormi gonne, sottovesti e corsetti, quindi era una sfida. È bello, perché Milady rappresenta un personaggio innovativo, sempre la prima a fare qualcosa, quindi sono felice che lei sia stata la prima impegnata in una scena d’azione con un corsetto e un abito ampio. Se lo merita”. Evidentemente la Jovovich si identifica molto in questo genere di donna forte, indipendente eppure femminile e dolce quando serve. Sarà felice suo marito Paul W.S. Anderson, con il quale ha avuto una bambina che si chiama Ever Gabò (Gabo sono le iniziali dei nomi dei suoi genitori, Galina e Boris) e che oggi ha 5 anni.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo sui Milla Jovovich pubblicato su ON di giugno 2012: ON giugno 2012 Milla Jovovich

Il respiro degli Dei – Un viaggio alla scoperta dello yoga moderno

19 Apr

Il respiro degli Dèi è un film-documentario che vuole essere un viaggio alla scoperta dello yoga moderno, come recita il sottotitolo italiano. Come fa notare qualche puntiglioso alla fine del film durante il dibattito con il regista Jan Schmidt-Garre, lo yoga moderno non è solo quello del Sud dell’India, nato intorno alla figura di Sri Tirumalai Krishnamacharya, fondatore della prima Yogashala (scuola di yoga) a Mysore negli anni 30, per volere del Maharaja. Ma, come Schmidt-Garre sottolinea, senza l’opera di divulgazione dello yoga compiuta da Krishnamacharya (studiò l’inglese per poter comunicare anche con gli occidentali che si recavano da lui per imparare lo yoga), forse neanche gli altri stili e tradizioni dello yoga, oggi diffusi in Europa e negli Stati Uniti, sarebbero arrivati.

Un viaggio alla scoperta delle origini dello yoga moderno

La locandina del film Il respiro degli Dèi, di Jan Schmidt-Garre

È una tesi, è quella del regista, e dunque va accettata. Perché, mettendo da parte tutte le proprie convinzioni, le proprie conoscenze e studi, visto che si sta parlando di una materia in cui neanche la datazione dei libri classici è una certezza, ci si può godere un film sincero e onesto che, senza fronzoli e finte rappresentazioni dell’India (non si vedono splendidi tessuti di seta, incensi che bruciano ovunque e sale lucidate da poco, ma solo la cementificata Mysore, con il suo traffico chiassoso e il livello di pulizia medio in India, che non corrisponde certo a pavimenti splendenti), ci restituisce un’immagine viva dei guru più influenti del XX secolo. Dall’ancora vivente B.K.S. Iyengar, che si vede anche praticare yoga all’età di 88 anni, a Sri K. Pattabhi Jois, fondatore dell’Ashtanga Vinyasa Yoga, che ha lasciato il suo corpo durante le riprese del film. Si colgono la loro diversa personalità e il loro personale rapporto con il maestro Krishnamacharya, nonché le differenze nella pratica.

Lo proietta in esclusiva italiana lo Spazio Oberdan di Milano. Andatelo a vedere se praticate yoga, ovviamente, ma anche se avete qualche aspirazione di crescita spirituale e se desiderate passare un’ora e 40 minuti ammirando uomini (sì, sono guru, ma per uno che non li conosce “uomini” è sufficiente) che hanno dedicato la loro vita a un’attività apparentemente superflua e dalla dubbia utilità, che invece provata sul proprio corpo, mente e spirito, è la più bella attività che si possa fare: lo yoga.

La sinossi:

Stando alla tradizione indiana le origini dello yoga sono da attribuirsi al dio Shiva, ma pochi sanno che in realtà a dare forma a questa disciplina, portandola al successo, è stato negli anni Trenta il saggio Tirumalai Krishnamacharya. Per raccontare questa storia sconosciuta ai più il regista Jan Schmidt-Garre intraprende un viaggio in India alla scoperta di questa disciplina. Lungo il suo percorso giunge nella splendida reggia del Maharaja di Mysore, dove incontra alcuni tra i leggendari studenti del maestro Krishnamacharya. Qui il regista impara il saluto al sole direttamente da Pattabhi Jois e si fa rivelare da Sribhashyam, il figlio del grande saggio, la segreta “sessione salva-vita”.

Per info: http://oberdan.cinetecamilano.it

Brad Pitt e le sue priorità

21 Mar

ON Brad Pitt father and actor

L'articolo su Brad Pitt pubblicato su ON di gennaio 2012

Eppure ci dev’essere qualcosa che non ha. Brad Pitt pare avere tutto: talento, bellezza, fama, sei figli e Angelina Jolie. È poliedrico, ama il suo ruolo di padre, di attore, di produttore e tutto pare venirgli bene. Eppure avrà anche lui qualche incertezza, qualche debolezza, qualche paura. Non è neanche di quegli attori prezzemolini, sempre presente sui giornali e in tv, anzi, all’alba dei suoi 48 anni (sì, proprio 48, compiuti lo scorso 18 dicembre) si sente parlare di lui solo in occasione dell’uscita dei suoi film, negli ultimi anni scelti con gran cura e attenzione. Come nel caso di L’arte di vincere (guarda il trailer), nei nostri cinema a partire dal 27 gennaio, che molti pensano sia un film sul baseball, ma in realtà è molto di più. In questo film Brad Pitt, che del lungometraggio ispirato al libro Moneyball The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis è anche uno degli ideatori e produttori, interpreta il ruolo del protagonista, ovvero quel Billy Beane general manager degli Oakland A’s, una squadra militante nella Major League che si trova in difficoltà. Di fronte all’ennesima sconfitta in un campionato in cui le altre squadre molto più ricche fanno incetta dei migliori giocatori, Beane fa un incontro cruciale con un neolaureato di Yale, genio dell’economia che sostiene che in base ad attente analisi statistiche computerizzate è possibile aggiudicarsi giocatori validi sottovalutati dal mercato, e perciò ancora abbordabili. “L’arte di vincere è una classica storia di perdenti,” ha dichiarato Pitt durante la première del film. “Come potranno sopravvivere? Anche se mostreranno il loro talento, saranno risucchiati dal mercato e dalle squadre con tanti soldi. Per questi ragazzi tutto è stato già deciso, non potevano combattere la guerra di altri, avrebbero perso in ogni caso. Hanno dovuto esaminare di nuovo tutto, ricercare nuove conoscenze, trovare una nuova forma di giustizia. In tutte le maniere possibili, Billy va contro un’istituzione. Molti uomini intelligenti hanno dedicato la loro vita a fare una cosa simile,” continua Pitt. “Dal momento in cui metti in discussione una parte del sistema, però, sei etichettato come eretico o messo al bando come un folle”. Ed è quello a cui è andato incontro anche Beane, che però ha tenuto duro.

L'arte di vincere locandina cinema

La locandina di "L'arte di vincere", il cui titolo originale è "Moneyball"

L’arte di vincere è un film che tratta temi universali e quanto mai attuali. “Affronta il problema di come noi stessi valutiamo le cose” ha dichiarato Pitt. “Come ci misuriamo gli uni con gli altri, come valutiamo noi stessi, e quali valori consideriamo quando decidiamo chi sia un vincitore. Il film si pone la domanda di come definire e stabilire le regole del successo. Dà grande importanza alla silenziosa vittoria personale di Beane, una vittoria che diventa per lui la conquista del monte Everest. Alla fine della giornata, tutti noi speriamo che quello che stiamo facendo avrà un certo valore, che vorrà dire qualcosa e io penso che sia ciò che questo personaggio ci richiede”. Lo abbiamo visto: L’arte di vincere è un buon film. L’ennesimo, dopo The Tree of Life, il film di Terrence Malick uscito la scorsa primavera, in cui Pitt era un capofamiglia alle prese con la mancata realizzazione del suo sogno americano, evento che manda in crisi i suoi valori e quelli da tramandare ai suoi due figli, oltre ad aprire il campo a riflessioni esistenziali comuni a ogni essere umano (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo).

Eppure anche a Pitt deve mancare qualcosa. L’abbiamo cercata, e tra tutte le sue dichiarazioni recenti possiamo  affermare di aver trovato un’unica magagna: Pitt non ha molto tatto. In un’intervista pubblicata lo scorso settembre sulla rivista Parade Magazine, in occasione dell’uscita americana del film L’arte di vincere, ripensando al suo passato ha dichiarato: “Ho passato gli anni 90 a nascondermi, a schivare la cacofonia della celebrità. Ho iniziato a sentirmi patetico. Mi fu presto chiaro che stavo cercando di trovare un film che parlasse di una vita interessante, ma io stesso non stavo vivendo una vita interessante. Penso che il mio matrimonio (con Jennifer Aniston, ndr) avesse a che fare con tutto questo. Cercavo di fingere che il mio matrimonio fosse qualcosa che in realtà non era”. ‘Grazie  Brad’, deve aver pensato la povera Aniston che già dal confronto con la Jolie è purtroppo sempre uscita maluccio e che ora, a distanza di 20 anni, riceve pure il colpo di grazia! Poco dopo, però, il perfetto Pitt si è accorto della gaffe ed è arrivata la smentita: “Mi addolora essere stato interpretato in questo modo. Jennifer è una donna incredibilmente altruista, appassionata e divertente, e resta mia amica. È una relazione importante alla quale tengo moltissimo. Ciò che volevo far emergere non è che Jen era scialba, ma che lo stavo diventando io e di questo sono io il responsabile”. Insomma, si sa che le smentite hanno sempre meno eco delle affermazioni, e in questa si parla anche di essere scialbe…

On fastwebtv magazine

La copertina di ON di Gennaio 2012

Tralasciando l’amore per le sue ex o attuali compagne, l’esperienza che l’ha davvero cambiato però è quella della paternità, come lui stesso ha dichiarato: “Il più grande cambiamento della mia vita lo devo all’essere diventato padre. In un certo senso, i film che faccio diventano le estensioni cinematografiche di questo cambiamento. The Tree of Life è un film molto personale per Terrence Malick, ma mi ha dato occasione di sentirmi parte di un progetto grande e ambizioso. Diventare padre ha modificato tutto il mio modo di vivere e, devo ammetterlo, inizialmente mi ha un po’ spaventato. Da quando sono padre i miei figli sono l’unica cosa importante, il mio benessere è passato nettamente in secondo piano. La loro sicurezza e qualità di vita sono la cosa che conta di più per me, devo sempre avere la certezza che stiano tutti bene per poter dormire sonni tranquilli. Essere padre l’ha anche cambiato professionalmente: “Ora sono molto più attento a quali film scelgo, perché la notorietà mi offre la possibilità di fare selezione. Per esempio, non sono interessato a progetti in cui gli attori sono intercambiabili, dove uno vale l’altro. Vorrei far parte di progetti cinematografici che in futuro significhino qualcosa per i miei figli e che li rendano orgogliosi di avermi come padre”.

Qual è il suo film più bello?

Brad Pitt

Thelma & Louise

Prima di diventare attore, ha fatto lavori curiosi, dal trasportatore, all’autista di spogliarelliste in limousine, al pollo travestito per la catena di ristoranti El Pollo loco. Poi arriva Ridley Scott con Thelma & Louise (1991), e tutto cambia.

Fight club

Negli anni 90 infila un successo dietro l’altro: In mezzo scorre il fiume di Robert Redford (1992), Una vita al massimo di Tony Scott (1993), Intervista col vampiro e Vento di Passioni (1994), Seven, L’esercito delle 12 scimmie (1995), Sleepers L’ombra del diavolo e Sette anni in Tibet (1997) e Fight Club (1999).

Anche negli anni 2000 sono tanti i suoi film ben riusciti, tra cui: Snatch – Lo strappo di Guy Ritchie (2000), Spy Game e Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco di Steven Soderbergh (2001), Troy e Ocean’s Twelve (2004), Mr. & Mrs. Smith (2005), Babel (2006) e Ocean’s Thirteen (2007).

Inglorious Basterds - Bastardi senza gloria

Tra i più recenti, Burn After Reading – A prova di spia di Joel ed Ethan Coen (2008), Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher (2008), Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino (2009), The Tree of Life, di Terrence Malick e L’arte di vincere (2011).

Shia LaBeouf: da Robert Redford a Marilyn Manson

15 Mar

Shia LaBeouf Transformers

Shia LaBeouf, articolo pubblicato su ON di dicembre 2011

Contrariamente a quell’aria da bravo ragazzo, Shia LaBeouf è davvero un tornado. Uscite dal set, guardatelo in qualche intervista, o in vesti diverse da quelle attoriali, e vedrete la sua vera indole da ragazzaccio dall’ironia pungente e dall’energia contagiosa di un ex comico da stand-up comedy, quegli spettacoli umoristici in cui l’attore sta in piedi su un palco
da solo e dice le sue battute sperando che il pubblico rida. Una sorta di Zelig, per intenderci, ma con la difficoltà di non avere le persone in platea con l’applauso guidato. Il pur giovanissimo LaBeouf, oggi 25enne, ha infatti un grandissimo feeling col pubblico dal vivo, che ha imparato a conoscere, ascoltare e rispettare durante la sua gavetta. E si vede quando va nei grandi show americani tipo Jimmy Kimmel Live, o al Late Show di David Letterman: è trascinante. Pare che anche sul set del suo ultimo Transformers 3 facesse morire dal ridere i colleghi. Dark of the Moon è infatti il terzo e ultimo capitolo della saga diretta da Michael Bay in cui vedremo l’intraprendente ed eroico Sam Witwicky, alias Shia LaBeouf, in azione. Dal primo Transformers uscito nel 2007 che fu un successo planetario, con oltre 700 miliardi di dollari incassati in tutto il mondo, al secondo La vendetta del caduto (2009) che ha guadagnato 836 miliardi, Sam continua a trovarsi nel bel mezzo di una lotta tra la vita e la morte contro le legioni dei robot cattivi, i Decepticons, in guerra contro gli Autobot, i robot buoni con cui Sam ha stretto amicizia.

Dalle serate comiche nei club di Los Angeles ai 15 milioni di dollari di cachet per questo film, ne è passata di acqua sotto i ponti. Shia 5 anni fa prendeva 400mila dollari a film, oggi quasi 40 volte tanto. Notevole, così come il talento di questo giovane nato a Los Angeles nel 1986 da una famiglia un po’ svitata, per usare un eufemismo, di cui lui oggi ride, probabilmente per esorcizzare. Un papà di origini francesi e cajun (un gruppo etnico costituito dai discendenti dei canadesi francofoni, deportati in Louisiana a metà del 1700), di professione clown, che ha vissuto anche in Francia per studiare la commedia dell’arte, con gravi problemi di tossicodipendenza. Tanto che Shia ha dichiarato in passato “sono cresciuto in una situazione in cui le droghe erano un demone. Vedere tuo padre in crisi di astinenza da eroina è qualcosa che ti tiene lontano da certe cose”. E una mamma ebrea americana (Shia in ebraico significa “dono di Dio”), ballerina, che ha divorziato dal padre presto per andare a vivere col figlio unico a Los Angeles, dove Shia ha frequentato la prestigiosa Hamilton Academy of Music. Lui infatti suona molti strumenti, tra cui la batteria. Da piccolo, insieme ai genitori si vestiva spesso da clown e andava a vendere hot dog nel parco di fronte a casa. Pare che la madre abbia anche venduto collanine per strada per mantenere la famiglia.

Ben presto proiettato nel mondo dei video e del cinema, nel 2003 ottiene una parte in Charlie’s Angels – Più che mai e un anno più tardi un ruolo secondario in Io, robot e nel 2005 sarà accanto a Keanu Reeves in Constantine. Il 2006 è l’anno della svolta: notato da Steven Spielberg, il grande regista lo ingaggia per il thriller Disturbia, come protagonista. A 21 anni, entra definitivamente nella lista dei nomi che contano a Hollywood. Spielberg è produttore esecutivo anche del nuovo franchise Transformers e lo fa assumere, di nuovo come protagonista. Il film ha un successo commerciale colossale e lui diventa un volto noto. Poi Spielberg decide di fare il quarto e ultimo episodio di Indiana Jones e affianca ad Harrison Ford indovinate chi? Esatto, proprio Shia, che interpreta lo scapestrato figlio motociclista del protagonista. Il film non è un grande successo, ma fa curriculum. Seguono infatti il secondo e terzo Transformers, nonché il sequel di un altro film cult, Wall Street il denaro non dorme mai (2010), diretto da Oliver Stone. Per chi si chiedesse se ci sarà un T4, ha risposto in un’intervista rilasciata all’Associated Press: “Io ho finito. Sono sicuro che ne faranno degli altri, è un franchise ancora molto vivo, ha ancora un valore. Penso che la gente andrà a vederlo. Ma non so se io posso dare ancora qualche contributo. Nessuno si cura più di Sam, ha salvato il mondo due volte e in qualche maniera è stato messo in un angolo. È un ragazzo che si è dato una ragion d’essere aiutando gli Autobot, ma ora i robot non hanno più bisogno di lui”.

Shia La Beouf in The wettest County in the world John Hillcoat

Nel frattempo LaBeouf si è dato anche alla regia, di videoclip. Il primo, Maniac di Kid Cudi, è stato notato dal trasgressivo cantante Marilyn Manson che l’ha voluto per dirigere il video del singolo Born Villain che anticipa l’uscita del suo ottavo album. Si dice che questo brano e il suo video siano ispirati al Macbeth di Shakespeare per i testi e a Un cane andaluso di Luis Buñel per la scelta iconografica. Il clip è tecnicamente molto bello, ma con i classici temi “forti” del cantante, con violenze, ogni tipo di martirio di corpi, assurdità come un occhio impiantato in una vulva, e un finale da film splatter. LaBeouf è anche questo, e non ve lo aspettereste. Intanto questo mese esce negli Usa il suo nuovo film, The Wettest County in the World, diretto da John Hillcoat (The Road) e Shia è sul set del prossimo film di Rober Redford, dove sarà protagonista: The Company you keep, con un cast stellare, da Stanley Tucci a Susan Sarandon, dallo stesso Redford a Nick Nolte. In questo film LaBeouf è un giovane giornalista che intraprende un’inchiesta sul passato turbolento di un vecchio avvocato e attivista politico (Redford). Non vediamo l’ora di vederlo anche in questi ruoli drammatici.

HOBBY

Il bellissimo bulldog Brando di Shia LaBeouf

Nato a Los Angeles nel 1986 (25 anni), ha frequentato la Magnet School of performing art alla USC. Ama la musica, che ha studiato alla Hamilton Academy of Music di Los Angeles, insieme a colleghi come Emile Hirsch. E i cani: ha un bulldog inglese di nome Brando, da cui non si separa mai.

L’ESORDIO

E’ apparso le prime volte in video a soli 12 anni, nella serie tv Caroline in the city e in due film, Monkey Business e The Christmas Path.

L’AMORE

Dice che ama le ragazze more, misteriose e con molta personalità. Tra le sue ex, Megan Fox e Carey Mulligan. Oggi è fidanzato con la stilista Karolyn Pho.

Hayden Panettiere diventa Amanda Knox

4 Gen

Che dovesse entrare nel mondo dello spettacolo, era scritto nel suo destino. A soli 11 mesi, infatti, Hayden Panettiere era già stata introdotta nel mondo delle pubblicità dalla madre Lesley Vogel, lei stessa con esperienze di recitazione all’attivo in alcune soap opera. A solo 22 anni, dunque, l’attrice diventata famosa come cheerleader nella serie tv di fantascienza Heroes, trasmessa negli Usa dal 2006 al 2010 (in Italia dal 2007), ha già alle spalle una carriera fitta di esperienze televisive e cinematografiche.

L'articolo su Hyden Panettiere, pubblicato su ON di novembre 2011

Quest’anno l’abbiamo vista nel quarto capitolo della saga Scream, un “metahorror”, ovvero un film horror che fa satira sui cliché degli horror del passato, per esempio NightmareHalloween, la notte delle streghe. Scream 4, diretto dal maestro della suspense Wes Craven, riunisce il trio originale di protagonisti, Neve Campbell, Courteney Cox e David Arquette, ma conta anche su un gruppo di nuovi attori di talento, tra cui appunto Hayden, che interpreta Kirby, una ragazza dura, sveglia, senza peli sulla lingua, appassionata di cinema.

Un film franchise che ha portato molta notorietà alla Panettiere, che quest’anno era già stata protagonista di un discusso film per la TV, uscito a febbraio negli Stati Uniti. Si tratta di Amanda Knox: Murder on Trial in Italy, una ricostruzione dei fatti e del processo per l’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa assassinata a Perugia nella notte tra l’1 e 2 novembre del 2007, per il quale sono stati condannati in primo grado Amanda Knox e l’ex fidanzato Raffaele Sollecito, che hanno scontato quasi quattro anni di carcere prima di venire assolti, lo scorso 3 ottobre, nel processo d’appello. La Panettiere assomiglia molto ad Amanda Knox e risulta molto credibile in questo film, in occasione del quale ha dichiarato: “Voglio che Amanda esca di prigione e che possa vivere il resto della sua vita. A lei do tutto il mio sostegno. Abbiamo vissuto vite diverse”, ha ammesso, “ma siamo entrambe giovani, e io mi preoccupo per lei”. Negli Usa, infatti, si è sempre creduto che la Knox fosse innocente.

Nel passato televisivo di Hayden ci sono anche quattro anni (1996-2000) nella soap opera Sentieri, dove la ragazza era Lizzie Spaulding, una giovane che nella fiction doveva affrontare una dura battaglia contro la leucemia. Nel mondo cinematografico, la Panettiere ha iniziato la sua carriera di attrice prestando la voce per il film di animazione A Bug’s
Life-Megaminimondo (1998) e, in seguito, anche per Dinosauri (2000). In seguito è apparsa nei film Il sapore della vittoria, Quando meno te l’aspetti, Striscia- Una zebra alla riscossa, Ice Princess – Un sogno sul ghiaccio, Ragazze nel pallone – Tutto o niente, per citare i principali.

Nonostante il suo aspetto da bambolina bionda con gli occhi azzurri, vi stupirete scoprendo che la ragazza è stata anche

Hayden Panettiere salva le balene e i delfini

L'impegno animalista di Hayden Panettiere

arrestata. Sono state le autorità giapponesi a farlo, perché Hayden è un’attivista animalista, tanto da essere diventata portavoce della campagna della Whaleman Foundation, un’organizzazione di ricerca e di salvaguardia che si occupa di proteggere e preservare delfini, balene e il loro habitat oceanico. Da quando ha avuto questo incarico, è stata a Washington per incontrare i membri del Congresso, è stata invitata alla International Whaling Conference in Portogallo
ed è apparsa in The Cove, un documentario bellissimo del 2010, vincitore di un premio Oscar, che parla del massacro di delfini che avviene ogni anno nella baia di Taiji, in Giappone. Proprio durante una delle campagne per liberare e salvare questi delfini, nel 2006 la Panettiere fu arrestata. Tutte le sue iniziative ecologiste si possono vedere sul sito www.savethewhalesagain.com.

Quando non recita, Hayden ha molti hobby, tra cui quello di cantare, ballare, andare a cavallo, suonare il pianoforte ed

il gigante e la bambina, hayden panettiere. foto: thanks to Just Jared

Hayden Panettiere e l'ex boyfriend, il boxeur ucraino Wladimir Klitschko

esercitarsi nel karate e nella boxe. Quest’ultima passione è nata anche per via del fidanzamento di due anni con il campione del mondo dei pesi massimi, il possente ucraino Wladimir Klitschko. Ora si sono lasciati, ma la coppia
era fotografatissima: la 22enne alta un metro e 57 centimetri sembrava davvero una miniatura accanto al gigante boxeur 35enne, alto 1,99 metri. Ma ad Hayden gli sportivi devono andare particolarmente a genio: ora è fidanzata con il giocatore di football americano Scott McKnight.

Tornando alla sua carriera, al momento la Panettiere sta girando due film, la cui uscita non è ancora programmata in Italia. Ed è sempre impegnata sul fronte sociale: sta dando il suo contributo per far sì che il District of Columbia, dove si trova la capitale americana Washington, diventi uno Stato Federale, con i suoi rappresentanti in Congresso. Il sindaco della città, Vincent C. Gray, le ha riconosciuto il merito, proclamando un “Hayden Panettiere Day”. Per il suo impegno civile, la Panettiere è recentemente stata definita la nuova Jane Fonda. Chissà se arriveranno anche per lei due Oscar…

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo sull’attrice Hayden Panettiere pubblicato su ON di novembre 2011: ON novembre 11 Hayden Panettiere

Michelle Rodríguez: carattere latino

5 Dic

La domanda più ricorrente che si sente fare la più famosa tra le attrici latino-americane è ‘come mai hai sempre parti da dura?’. “Mi ci vedreste a fare la fidanzata che deve essere salvata? O anche solo la fidanzatina?”, risponde Michelle Rodríguez. Basta vederla durante un’intervista. La risposta è: decisamente no, non ti vedremmo in ruoli da pulzella. Perché la Rodríguez è quello che si potrebbe definire un maschiaccio. Negli atteggiamenti, nella spontaneità delle sue reazioni e delle sue battute, non sempre raffinate, ha tratti caratteriali più frequentemente presenti negli uomini. Ciò nonostante, o forse anche per quest’aria da bambina cattiva, Michelle è davvero sexy.

articolo di Samuela urbini

L'articolo pubblicato su ON di settembre 2011

Anche nel suo ultimo film, World Invasion (2011), è una tosta: il tenente Elena Santos è infatti uno degli eroi che eviterà che la terra venga distrutta dagli alieni. Accanto a lei troviamo Aaron Eckhart. Di nuovo un personaggio duro, dunque, ma con un appeal che non ha eguali. Vi chiederete: come mai fa sempre parti da sterminatrice e imbraccia spesso fucili e mitra? Semplice: perché le piace. Dice di avere una pessima mira, ma che avere un fucile in mano e correre tra un ostacolo e l’altro sparando ai nemici è la cosa che più la diverte sul set. Quanto alla sua femminilità: “mi piace lasciarla per la mia camera da letto”, ha detto.

A 33 anni appena compiuti (lo scorso 12 luglio), Michelle Rodríguez ha già recitato in un numero considerevole di blockbuster. Ricorderete Avatar (2009), il colossal diretto da James Cameron girato prevalentemente in digitale e primo vero fenomeno in 3D che ha portato milioni di persone al cinema: la protagonista, rivista e corretta in post produzione, era proprio lei. Prima, però, la Rodríguez aveva già raggiunto la celebrità con Fast and Furious (2001), in cui era la coraggiosa fidanzata del protagonista Vin Diesel, con il quale pare abbia anche avuto una relazione nella vita reale. E con altri film di notevoli incassi, come Resident Evil, S.W.A.T. – Squadra speciale anticrimine e la serie Tv di grande successo Lost, per la quale, nel ruolo di Ana Lucia Cortez, ha fatto 22 puntate, prima di dover abbandonare il set in seguito a un suo arresto per guida in stato di ebbrezza. Si sa, negli Stati Uniti le regole sono rigide e soprattutto vengono fatte rispettare. Nel 2010 ha recitato nello splatter Machete di Ethan Maniquis e Robert Rodríguez, un film piuttosto violento, di pura azione, in perfetto stile Rodríguez, l’omonimo regista che però non ha alcuna parentela con l’attrice.

L’affascinante Michelle ha origini latine, anche se è nata in Texas e buona parte della sua vita l’ha passata negli Usa. Quando aveva 8 anni si è trasferita nella Repubblica Dominicana in seguito al divorzio dei genitori, per poi andare ad abitare a Porto Rico due anni più tardi e tornare infine negli Stati Uniti, nel New Jersey. L’infanzia è stata un po’ movimentata: a 10 anni dichiara di aver fatto la prima rissa, con una compagna di scuola. E ha abbandonato gli studi superiori dopo essere stata espulsa da 6 istituti diversi. Forse perché ancora non si conosceva bene quel disturbo tipico dell’infanzia (ma di cui la Rodríguez soffre ancora oggi) chiamato ADHD, la sindrome da deficit d’attenzione, che causa iperattività perché si è incapaci di concentrarsi su qualsiasi cosa. Il suo debutto al cinema avviene nel 2000, quando partecipa a un’audizione per Girlfight, un film indipendente sul pugilato, il primo in cui compare un pugile donna (Million Dollar Baby verrà solo quattro anni dopo), tratto da una storia vera: nonostante non avesse mai tirato di boxe prima, Michelle prende sei mesi di lezioni private, 11 kg di muscoli e riesce a farsi scritturare, mettendo al tappeto le altre 350 pretendenti al ruolo di Diana Guzman. Quell’anno vince anche il prestigioso premio come miglior attrice al Deauville Festival of American Cinema. L’anno dopo viene scelta per Fast and Furious.

La copertina di ON di settembre

Di sé ha dichiarato: “Non voglio che la gente pensi a me in modo sessuale. Non voglio che di me dicano ‘è sexy’, ma che ascoltino quello che ho da dire. Ho ricevuto delle proposte per girare scene di sesso, ma questo farebbe di me un’altra Jennifer Lopez o cose del genere. Facile. Ma io voglio ottenere successo per una via più difficile”. E sul suo blog (www.michellerodriguez.com), sul fatto che i suoi ruoli siano sempre da comprimaria rispetto all’eroe maschile, ha scritto: “sono grata di avere l’opportunità di esprimere potenza e forza di volontà, presto quella forza evolverà da un’energia maschile in un’energia femminile equilibrata. Mi auguro che Hollywood sia ricettiva rispetto a questo carattere archetipico che dev’essere ancora sfruttato in un personaggio principale nei suoi film commerciali”. Una ragazza
sicura di sé, che ci regalerà ancora bellissimi ruoli in futuro.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo sull’attrice Michelle Rodríguez pubblicato su ON di settembre 2011: ON settembre 2011 Michelle Rodriguez

Wall Street: meglio il primo o il secondo?

1 Set

La prima cosa da sapere è che Wall Street: il denaro non dorme mai è un sequel del mitico Wall Street del 1987, ma può essere guardato anche senza aver visto il primo. Per espresso volere del regista Oliver Stone, che non voleva solo un bis.
Il trait d’union tra i due infatti è Michael Douglas-Gordon Gekko, il rampante broker senza scrupoli e finalizzato solo al guadagno a ogni costo che alla fine del primo finiva in carcere e all’inizio del secondo viene rilasciato, dopo aver scontato la pena. Riprende i suoi effetti personali, tra cui un fantastico cellulare dalle dimensioni di un telecomando: qualche anno è passato e il mondo è completamente cambiato, mentre sua moglie lo ha lasciato, suo figlio si è suicidato e sua figlia non vuole più rivolgergli la parola. Un bel quadretto in cui chiunque rivedrebbe qualche passaggio della sua vita.

Michael Douglas Wall street il denaro non dorme mai

L'articolo pubblicato su ON di maggio 2011.

Ma Gekko è Gekko. Il suo monologo sull’avidità del primo film, che non è un’invenzione degli sceneggiatori, ma trae ispirazione da un reale discorso fatto dal finanziere Henry Kravis, fece proseliti tra i rampanti broker di fine anni 80. E lui (come molti simili a lui) ci crede sinceramente, tanto che in Wall Street: il denaro non dorme mai affina questo concetto sostenendo che l’avidità non è solo giusta, ma anche legale. E come il cancro che si è insinuato nel sistema finanziario, fatto di speculazioni e operazioni prive di copertura, manderà in rovina l’economia statunitense.

copertina di on di maggio edward norton

La copertina di ON, il magazine della FastwebTv, di maggio.

A 23 anni dal primo film la storia che si racconta ha delle analogie, ma sarebbe stato del tutto anacronistico non inserire degli elementi in grado di spiegare alcuni dei nuovi meccanismi malati che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008, la più grave dopo quella del 1929. “Nel 2008 non era più plausibile che esistessero uomini come Gordon Gekko”, ha spiegato il regista. “Quel personaggio, quel tipo di pirata, non esisteva più, era stato soppiantato dalle istituzioni che, in precedenza, erano soggette a normative e regolamenti rigorosi. In passato, una banca era una banca e una compagnia di assicurazioni era una compagnia di assicurazioni. Nel 2008 tutto ciò è cambiato. Le barriere tra le diverse istituzioni sono state abbattute dalla deregolamentazione attuata durante gli anni 80 e 90”. Nel quadro delle ricerche, Stone e il suo team hanno visitato banche d’investimento e hedge fund, oltre a incontrare un certo numero di personalità di spicco nel mondo della finanza. “Abbiamo parlato con alcuni dei maggiori politici e maghi della finanza”, ha aggiunto il regista. Con un ottimo risultato, tutto da guardare.

Il regista

Questo film è stato girato in 58 giorni da Oliver Stone che, all’uscita del secondo episodio ha dichiarato, circa il primo: “Ho realizzato Wall Street come una storia sulla moralità e credo di essere stato frainteso da molti. È incredibile il numero di persone che, negli anni, mi ha detto: ‘Ho iniziato a lavorare a Wall Street per via del suo film’”.

La sceneggiatura

Per la sceneggiatura di questo film è stato scelto anche un intermediario finanziario accreditato, sedicente “tossico della finanza”: Allan Loeb. Che ha incontrato alcuni dirigenti di hedge fund e funzionari di banca e ha trascorso molto tempo con un ex operatore di Borsa in una delle maggiori società del settore. Douglas ha accettato il ruolo solo dopo aver letto lo script di Loeb.

Il nuovo discepolo

Al posto di Charlie Sheen, che si faceva indottrinare da Gekko nel primo film, troviamo questa volta Shia LaBeouf. “Oliver mi ha detto: ‘Se vuoi girare il film, dovrai darti da fare e studiare’, così sono andato in una società di intermediazioni finanziarie e ho chiesto di aprirmi un conto”. Ha superato il Series 7 Test, l’esame per diventare operatore di Borsa.

Una curiosità

Nel film compare anche Eli Wallach e la suoneria del cellulare del protagonista è il motivetto del film Il buono, il brutto, il cattivo. Fa un cameo anche Charlie Sheen, discepolo di Gekko nel primo Wall Street

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’approfondimento sul film di Oliver Stone Wall Street: il denaro non dorme mai pubblicato su ON di maggio: ON maggio Closeup Wall street

Kung Fu Panda 2: ma guarda Po!

24 Ago

po kung fu panda 2

Il Panda Po nel saluto marziale.

Arriva oggi sui grandi schermi il panda più famoso del mondo: Po, il goffo protagonista di Kung Fu Panda. Il film d’animazione che sbancò i botteghini nel 2008, lasciando dietro di sé stuoli di bambini che chiesero ai genitori di poter praticare l’arte marziale del loro paffuto idolo, arriva oggi con il suo sequel, questa volta con tecnologia 3D. Le mosse di kung fu saranno quindi ancora più realistiche e spettacolari, ma anche la mitica pancia del simpatico panda, doppiato nella versione originale dall’attore comico Jack Black.

Il successo di questo capolavoro della Dreamworks si deve certamente alla bellezza delle immagini e degli effetti speciali, ma anche alle star che sono state chiamate a dar voce ai protagonisti. Accanto al panda Po, che lavora nel ristorante del padre Signor Ping (un’oca), ma sente il richiamo delle sue origini e sogna di diventare maestro di kung fu, troviamo infatti i Cinque Cicloni, veri esperti di arti marziali: Tigre (Angelina Jolie), Scimmia (la superstar delle arti marziali Jackie Chan), Mantide (Seth Rogen), Vipera (Lucy Liu) e Gru (David Cross). Animali che, nel kung fu tradizionale cinese, corrispondono ad altrettanti stili dell’arte marziale. Al mentore di Po, il maestro Shifu, dà voce invece Dustin Hoffman. E in Kung Fu Panda 2, tra l’altro, troviamo anche un altro nome noto agli appassionati di film di arti marziali: Jean Claude Van Damme, nei panni del Maestro Croc. Inoltre, mentre nel primo film il dipartimento d’animazione aveva lavorato ispirandosi a libri e film, questa volta è salito su un aereo ed è volato in Cina, per avere un’impressione visiva più vivida e realistica, che si percepisce nelle scene del film.

mantide tang lang

La Mantide, una dei Cicloni che aiutano Po.

In questo nuovo episodio viviamo l’evoluzione dell’eroe-Po: la sua figura di Guerriero Dragone viene offuscata dall’arrivo di un nuovo cattivo, Lord Shen, che cercherà di usare un’arma segreta per conquistare la Cina e distruggere definitivamente il Kung Fu. Po dovrà scoprire i segreti delle proprie origini e solo a quel punto sarà capace di sbloccare la forza che gli serve per vincere. A dirigere il film, per la prima volta nella storia dei film d’animazione hollywoodiani, una donna: Jennifer Yuh Nelson, di origini sudcoreane, già presente nel cast tecnico di Kung Fu Panda 1.

Fabio Volo, la voce italiana di Po

Fabio Volo, l’anima italiana di Po Se nella versione originale di Kung Fu Panda il protagonista Po ha la voce dello spassoso Jack Black, in quella italiana anche per Kung Fu Panda 2 viene riconfermato il doppiaggio di Fabio Volo, che ha saputo dare la giusta dose di verve e allo stesso tempo di dolcezza a questo personaggio.

kung fu panda 2 fabio volo doppiaVolo lo vedremo anche a breve nei panni del protagonista del film tratto dal suo libro Il giorno in più, diretto dal regista Massimo Venier, stretto collaboratore e autore del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’approfondimento sul Kung Fu Panda 2 pubblicato su ON di agosto: ON agosto rubr Cinema

L’Opera e il Balletto al cinema

15 Apr

L’idea è ghiotta: portare nei cinema sotto casa le grandi opere liriche e i migliori balletti dei più grandi teatri internazionali. In che modo? Sfruttando le nuove tecnologie del digitale e il 3D, via satellite si può essere seduti sulla poltrona del cinema e vivere in diretta la prima del Teatro alla Scala di Milano, oppure l’ultimo balletto del Bolshoi, o dell’Opéra de Paris. Certo, non è come essere veramente a teatro, chi ha la possibilità di andarci continuerà a preferire
l’esperienza diretta. Ma tutti quelli che non hanno mai visto un’opera o le grandi étoile in vita loro, trovano in questo nuovo trend il modo ideale per recuperare. Perché grazie ai sistemi audio e video delle sale che aderiscono, sarà come essere seduti a Parigi o a Mosca, ma in prima fila, non dalle balconate dove occorre il binocolo per vedere qualcosa.

ON Aprile 2011

L’idea è già una realtà consolidata in altri paesi, per esempio in Francia, mentre in Italia i pionieri sono due società: Microcinema e Nexo Digital. La prima è un network di sale digitali che ha sperimentato con La Traviata di Zeffirelli questo nuovo modo di utilizzare le sale nel 2007, ottenendo subito grandi apprezzamenti. E ha poi continuato su questa strada proponendo un cartellone di eventi in alta definizione digitale live, ma anche registrati, delle principali produzioni liriche italiane e internazionali. Il plusvalore etico di questa società è che ha fornito anche a sale parrocchiali o piccole sale d’essai che rischiavano la chiusura dei sistemi di sala che permettono di proiettare film ed eventi in alta definizione. Oggi il suo network digitale satellitare conta 150 sale. Ad aprile si vedranno l’Anna Bolena di Gaetano Donizetti, dalla Wiener Staatsoper di Vienna (5 aprile ore 19) e Il barbiere di Siviglia, di Gioacchino Rossini, dal Teatro Regio di Parma (26 aprile ore 20). Nexo Digital oltre alle opere, ha un programma di balletti d’eccezione, sui quali stanno avendo ottime risposte da parte del pubblico, che per esempio non ha lasciato nemmeno un biglietto libero per Gisèle, lo scorso dicembre. Segnatevi in agenda domenica 29 maggio: avrete l’occasione di scoprire le emozioni del corpo di ballo del Bolshoi, in diretta live da Mosca, che si esibirà in una Coppélia che lascerà a bocca aperta.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Clicca qui per vedere l’articolo pubblicato su ON di aprile 2011: ON Aprile_rubr Cinema
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