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Anita Porchet, la regina degli smalti

10 Feb

Un atelier con vista sulla natura di Corcelles-le-Jorat, a poca distanza dalla culla dell’orologeria svizzera di grande precisione. Un tavolo da lavoro gremito da una miriade di barattolini colorati, il cui contenuto, nelle mani sapienti della smaltatrice più rinomata dell’industria del tempo, diventa materiale prezioso che rende unici orologi già raffinati di per sé. È questo il luogo magico in cui Anita Porchet, una donna dalla voce dolce e pacata, attraverso il fuoco trasforma i suoi materiali tradizionali in meravigliosi quadranti artistici, con infinita concentrazione, pazienza e precisione. Una maestria tipica di chi ha imparato questo mestiere da bambina, che l’ha portata a vincere una serie infinita di premi ed a collaborare con le più grandi manifatture di alta orologeria. L’ultima in ordine di tempo, Audemars Piguet per la quale ha realizzato una trilogia di quadranti in smalto paillonnée “Grand Feu” per il Grande Sonnerie Carillon Supersonnerie della collezione Code 11.59 by Audemars Piguet. Un supercomplicato con Grande Soneria, una delle complicazioni più raffinate della storia dell’alta orologeria, che solo un ristretto gruppo di orologiai è in grado di realizzare, assemblare e regolare. Che qui si accompagna alla Supersonnerie, innovativa tecnologia brevettata dalla manifattura all’insegna di una performance acustica ancor più sopraffina, ed alla funzione carillon, riassunti in una complessa meccanica da ben 489 componenti.

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Proprio in omaggio ai Grande Sonnerie realizzati nella Vallée de Joux tra il XVII e il XIX secolo, che erano in smalto, la marca ha intrapreso una collaborazione con la smaltatrice svizzera, che ha decorato ogni quadrante con antichi lustrini d’oro, secondo la tecnica paillonné. “Ho iniziato a lavorare con Audemars Piguet un anno fa”, raccontata l’artista. “Di solito i brand vengono da me con delle idee ben precise. Questa volta è stato diverso. Desideravo lavorare con la tecnica paillonné, non l’avevo mai fatto prima. Hanno compreso pienamente il mio mestiere e mi hanno dato completa libertà. È davvero insieme che abbiamo creato questi pezzi unici”. Il paillonné è un’arte unica nel suo genere. Anita Porchet ha tagliato a mano foglie d’oro risalenti a oltre un secolo fa, attraverso tecniche e strumenti antichi, per dare la forma desiderata ai lustrini (paillon), poi meticolosamente incorporati sul disco smaltato del quadrante, prima di passare alla fusione nel forno. “I tre quadranti usano paillons con una struttura geometrica. Linee rette, piccoli anelli. Lavoro con gli stessi strumenti che si usavano il secolo scorso. Ho a cuore il concetto di lavorare così come mi è stato insegnato. Per me la perfezione non fa la bellezza, è piuttosto l’opposto. Anche se ricerco la perfezione, e so che la cercherò per sempre, questa simmetria imperfetta è sinonimo di vita”. Per trovare il colore desiderato che mettesse in evidenza i paillon d’oro, ha combinato cinque colori diversi. “È un processo lungo. Non si tratta solo del tempo impiegato per la creazione, ma anche del tempo di riflessione. Posiziono il materiale, lo rimuovo, lo sostituisco. La creazione del terzo quadrante, per esempio, è stata più lunga e laboriosa, perché ho utilizzato la tecnica del cloisonné, oltre al paillonné. Non a caso ho avuto un problema tecnico nella realizzazione proprio dell’ultimo pezzo della trilogia, ma sono molto contenta del risultato”. Tre orologi unici con una straordinaria unione di innovazione e tradizione, ai quali si aggiungeranno altri due esemplari per i quali i clienti potranno richiedere un quadrante personalizzato, sempre realizzato nello studio di Anita Porchet.

Audemars Piguet

Fondata nel 1875 a Le Brassus, Audemars Piguet è la più antica manifattura di alta orologeria tuttora esistente ad essere ancora guidata dalle famiglie fondatrici, Audemars e Piguet. Meccanismi con suoneria, cronografi e complicazioni astronomiche erano e sono il suo fiore all’occhiello. Legata alle sue origini artigianali, conserva savoir-faire rari ed antichissimi, che si impegna a tramandare attraverso orologi unici, sovente impreziositi da un tocco artistico.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su Il Corriere della Sera – Orologi del dicembre 2020

Il sale della vita

21 Mar

samuela urbini giornalistaCome ogni sostanza di cui si abusa, anche il sale se assunto in dosi eccessive diventa pericoloso. Lo sostengono ricerche internazionali che lo vedono come causa dell’aumento della pressione arteriosa (ipertensione), con un conseguente aumento del rischio che insorgano patologie gravi come ictus e infarti. Un consumo eccessivo di sale influisce sul metabolismo delle ossa ed è anche correlato al rischio di cancro allo stomaco, naso-faringe e gola, come confermato dalle linee guida dell’American Cancer Society, aggiornate ogni 5 anni e pubblicate a inizio 2012. Soprattutto nelle persone predisposte. «Il ruolo causale tra l’abuso di sale e le malattie cardiovascolari, in primis l’ipertensione, ma anche l’ictus cerebrale e l’infarto, è ampiamente documentato», conferma Pasquale Strazzullo, coordinatore del Gruppo di lavoro intersocietario per la riduzione del consumo di sale (Gircsi) in Italia e professore ordinario di Medicina interna dell’Università Federico II di Napoli. L’Istituto Superiore di Sanità afferma che diminuendo il consumo di sale a meno di 5 grammi al giorno, cioè circa la metà di quanto ne assumiamo oggi in media, si potrebbe ridurre la pressione come se fossimo dimagriti di 10 kg o se facessimo 30 minuti al giorno di camminata a passo sostenuto. Uno degli studi più completi in atto è quello del progetto Minisal-Gircsi (Gruppo di lavoro intersocietario per la riduzione del consumo di sale in Italia), finanziato dal Ministero della Salute, che sta raccogliendo dati in 15 regioni italiane su 1519 uomini e 1450 donne di età tra i 35 e i 79 anni per valutare il consumo medio giornaliero di sodio (presente nel sale), potassio e iodio pro-capite in un campione rappresentativo della popolazione italiana. Dai dati preliminari di questa ricerca pubblicati di recente dal Gircsi in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità è emerso che gli italiani assumono il doppio della quantità massima di sale raccomandata ogni giorno.

Guadagnare salute

I risultati fin qui riscontrati sono in linea con quelli di numerosi Paesi industrializzati: molti hanno già in atto programmi di riduzione del consumo di sale, come il caso emblematico della Finlandia in cui è stato ridotto il consumo medio giornaliero da 14 grammi a circa 8 e mezzo (in 35 anni), con il risultato di aver ridotto l’incidenza di ictus dell’80%. E l’Italia non è rimasta indietro: il Ministero della Salute ha siglato un accordo nel 2009 con le principali associazioni della panificazione artigianale e industriale per una  progressiva riduzione del contenuto di sale nel pane (15% in meno in 2 anni, entro il 2011), poiché questo alimento è di solito presente sulla sulla tavola degli italiani tutti i giorni e dunque rappresenta una delle principali fonti di assunzione. Quindi in panetteria troviamo già il pane con meno sale? Fa il punto della situazione Daniela Galeone, dirigente medico del Ministero della Salute e referente di Guadagnare salute, un programma del Ministero finalizzato alla prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili: «Gli accordi nazionali sono recepiti presso le sedi regionali e provinciali delle Associazioni, che devono farsi carico di coinvolgere i singoli panificatori, e si parla di oltre 25.000 esercizi in tutta Italia. Non era pensabile, dunque, un’adesione di massa in tempi rapidi, ma alcune Regioni, in particolare la Lombardia e l’Emilia-Romagna (Asl di Bologna) stanno implementando a livello locale i protocolli, lavorando con le sedi locali delle Associazioni». Sul sito Regione.lombardia.it, per esempio, si trova l’elenco dei panificatori aderenti. E alcuni pani industriali (tra cui alcuni a marchio Coop, Barilla e di altre aziende) sono già in commercio e riportano sulla confezione il logo Guadagnare salute (con il cuore che ride).

Il logo del programma Guadagnare salute.

Il logo del programma Guadagnare salute.

Sane abitudini da recuperare

A parte quello che aggiungiamo ai nostri piatti, di cui possiamo controllare direttamente le dosi, chi volesse diminuire l’apporto di sale deve fare attenzione ai cibi già pronti: «Circa i due terzi del sale che introduciamo nella nostra alimentazione si trova nei prodotti trasformati», aggiunge Pasquale Strazzullo. Come pane, prodotti da forno (biscotti, crackers, grissini, ma anche merendine, cornetti e cereali da prima colazione), seguiti da insaccati e formaggi, patatine fritte o pesci conservati come il tonno. «L’obiettivo più importante è dunque quello di ottenere dall’industria alimentare una riduzione dell’utilizzo di sale». Secondo l’Inran, infatti, più della metà (54%) del sale che ingeriamo è contenuto nei cibi conservati e precotti, quello presente nei cibi freschi è molto meno (circa il 10%) e quello aggiunto quando si cucina o in tavola è circa il 36%. Altre stime della Commissione Europea, invece, asseriscono che il sale presente nei cibi industriali o consumati fuori casa arriva a più del 75% e quello aggiunto nelle preparazioni domestiche è solo il 10% circa. Insomma: più cuciniamo noi il cibo che mangiamo, più siamo sicuri di riuscire a controllare la quantità di sale (e non solo) che vogliamo ingerire.

Senza sale non vuol dire senza sapore

Al sapore del sale siamo stati abituati fin da bambini, quindi diminuire le dosi vuol dire passare attraverso un periodo di transizione in cui ci sembrerà di mangiare cibi insipidi. C’è una buona notizia, però: il palato si abitua! Piano piano i nostri piatti ci sembreranno avere il giusto gusto, anzi, riscopriremo l’autentico sapore dei cibi, che esiste, ma che il sale appiattisce. L’importante è farlo gradualmente. Se no ci si infligge un inutile supplizio che con ogni probabilità farà fallire nel proprio intento. I cibi si possono insaporire con erbe e spezie, di cui anche la nostra cucina è ricca. Via libera a basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, origano, maggiorana, peperoncino, noce moscata e così via, nonché all’aceto e al succo di limone, alleati preziosi in cucina. Da usare, ma con parsimonia, invece, i dadi da brodo, la senape, la salsa di soia e il ketchup, anch’essi ricchi di sale. «Anche i medici di medicina generale e i pediatri sono al fianco del Ministero della Salute per informare ed educare la popolazione», ha aggiunto la dottoressa Daniela Galeone. «Importantissimo è, per esempio, educare i genitori a non aggiungere sale alle pappe dei bambini al momento del divezzamento».

Un mondo di sale

Il sale rosa dell'Himalaya

Il sale rosa dell’Himalaya

Il sale che comunemente usiamo, fino o grosso, è sale che subisce un processo di raffinazione che lo porta al suo caratteristico colore bianco (un po’ come lo zucchero), ma che lo priva della ricchezza di oligominerali che il mare gli ha donato, salvando solo il cloro e il sodio. Al sale bianco si aggiungono inoltre additivi anti-igroscopici, perché non formi i grumi con l’umidità, e in alcuni casi lo iodio, importante perché anche in Italia esistono casi di gozzo, malattia carenziale per contrastare la quale gli endocrinologi consigliano a tutti di utilizzare questo sale. Il sale naturale, o sale integrale, che non viene raffinato e si ottiene dall’evaporazione dell’acqua di mare e da un trattamento di lavaggio e purificazione non chimica, contiene iodio ma in quantità inferiori rispetto a quello del sale iodato artificialmente (dipende dalle zone di raccolta), quindi non è sufficiente per prevenire le carenze iodiche, come precisa il Ministero della Salute. In commercio si trova anche il sale dietetico, che contiene meno sodio, in quanto parte del cloruro di sodio è sostituito da cloruro di potassio, ma che è consigliato da alcuni medici solo agli ipertesi che non riescono a ridurre il consumo di sale. Se si va in un negozio gourmet, infine, si trovano infiniti tipi di sale, aromatizzati e di tutti i colori, che rispondono soprattutto a esigenze commerciali. Il più famoso di tutti forse è il sale rosa dell’Himalaya, che è integrale e conserva una ricchezza di oligoelementi superiore a qualsiasi altro. Ma se teniamo presente la regola aurea su cui sono d’accordo cardiologi ed endocrinologi, “poco sale, ma iodato”, è evidente che i sali, anche i più pregiati, si possono usare, tenendo presente che dovendone mangiare meno possibile, non si può demandare solo a essi l’assunzione di questi preziosi oligoelementi.

Quanto sale nei cibi di tutti i giorni

La dose giornaliera di sale raccomandata è di massimo 5 grammi. Ed ecco quanto se ne trova in media in quello che mangiamo.

300 g pizza o focaccia                         circa 5 grammi di sale

50 g prosciutto crudo dolce                 3,25 g

1 piatto pasta pronta surgelata          2,5 g

3 g di dado da brodo                             1,25 g

100 g fagioli in scatola                        1,25 g

50 g prosciutto cotto                            0,35 g

50 g di parmigiano                              0,875 g

1 fetta di pane  circa                             0,375 g

pane sciapo o toscano                         quasi 0

frutta e verdura                                      quasi 0

Dati: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.

Per Info:

http://sapermangiare.mobi/linee_guida.html

Ministero della Salute: www.salute.gov.it

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato sul mensile VIVERE IN ARMONIA di dicembre 2012.

Yoga for manager

21 Gen

by samuela urbini

Yoga per manager

Cos’hanno in comune Google, General Mills, Bmw, Deutsche Bank e Barclays? Sono tutte multinazionali e tutte hanno portato le discipline orientali in azienda per prendersi cura del benessere dei propri dirigenti e dipendenti. Si è infatti sviluppata da qualche anno negli Usa, in Inghilterra e anche in Germania la tendenza a introdurre yoga, tai chi e altre arti orientali nei corsi di formazione aziendale o come benefit per i propri dipendenti, perché si è scoperto che alleviano lo stress, la malattia del terzo millennio, da cui quasi nessuno è immune. E con la diminuzione dello stress, le persone si ammalano meno, diventano più produttive e collaborative. Alla General Mills, corporation cui fanno capo marchi come Häagen-Dazs, da 7 anni il martedì mattina è prassi aziendale il corso di meditazione e yoga. E in ogni building del quartier generale, in Minnesota, c’è una stanza attrezzata con cuscini da meditazione e tappetini yoga. A Mountain View, in California, nella sede centrale di Google, da anni si praticano yoga, meditazione e mindfulness (una tecnica che deriva dalla meditazione Vipassana buddista), come metodi efficaci per gestire lo stress, inseriti all’interno del programma “Search Inside Yourself”. Un’altra azienda americana, Aetna, ha realizzato una ricerca con la Duke University School of Medicine che ha rilevato come un’ora di yoga alla settimana abbia ridotto il livello di stress dei dipendenti di un terzo, abbassando altresì i costi aziendali per malattia. A Londra, seguono programmi di yoga anche i dipendenti di First Direct, Taj Hotels e della squadra di calcio West Ham United. In Germania spopolano altre discipline orientali, come il tai chi chuan e il qi gong di Awai Cheung, autore di bestseller e punto di riferimento per i manager teutonici che apprezzano i suoi programmi da fare in qualunque luogo, anche in pochissimo tempo: 5 o 10 minuti alla scrivania funzionano, sostiene il guru in giacca e cravatta. Se lo dice Awai… Che comunque è consulente di Bmw, Deutsche Bank, Deutsche Bahn e Vodafone D2, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha senz’altro. C’è però chi ha un atteggiamento più scettico, come il medico sportivo e rettore dell’Università tedesca dello Sport di Colonia, Ingo Froboese, che avverte: «I lavoratori non devono aspettarsi troppo da cinque minuti di questi esercizi. Non basta inserirli nella propria routine quotidiana: queste attività hanno bisogno di spazio, tempo ed energia». Secondo il dottore, infatti, il business-yoga è solo l’ultima delle mode per uomini e donne in carriera. Una volta c’era la ginnastica da ufficio, ma «rispetto a ginnastica, yoga è un termine che suona meglio», puntualizza Froboese.

Perché fare Yoga

Perché praticare Yoga? Per non rimanere così!

Perché praticare Yoga? Per non rimanere così!

Ai neofiti, tutto questo appare un po’ New Age, è vero. Che sedendosi su un cuscino o un tappetino un’ora alla settimana uno possa sentirsi meno stressato sembra un’idea per figli dei fiori. Steve Jobs meditava regolarmente, era buddista zen ed era nota la sua capacità di avere una visione lucida su cosa fare e come: lui sosteneva che molto fosse dovuto alla sua pratica costante della meditazione. Studi scientifici hanno infatti dimostrato che meditare riduce i livelli di cortisolo, un ormone correlato allo stress: quando il cortisolo si abbassa, la mente si calma e riesce a concentrarsi meglio sui compiti, prendere decisioni risulta più facile e la comunicazione con gli altri diventa più efficace.

Perché, dunque, fare yoga in ufficio? Chi passa tante ore alla scrivania incurva la colonna vertebrale e accumula tensioni nelle spalle e nella zona lombare e spesso respira in maniera incompleta. Anche una sola ora a settimana sarebbe una fonte di relax enorme. «Le persone si stupiscono di quanto sia importante respirare in maniera corretta e completa», aggiunge Denis Rizzo, coach e insegnante di yoga di Formenergy, che propone lo yoga in azienda abbinato al team coaching. «Acquisiscono una maggiore consapevolezza del proprio corpo e di quali siano i segnali e i sintomi dello stress e imparano metodi per poterlo attenuare. Molti ci hanno chiesto di continuare anche individualmente». Lo yoga non fa necessariamente amare il proprio lavoro, intendiamoci, né il proprio capo, ma li fa accettare per come sono, nei loro lati positivi e negativi. Perché l’insegnamento di tutte le pratiche che portano alla consapevolezza dell’individuo, yoga compreso, è che il mondo non può girare come diciamo noi. Neanche se ci arrabbiamo tantissimo. Dunque prima lo accettiamo, meglio stiamo.

E in Italia?

La tendenza che all’estero è già una realtà consolidata, in Italia muove i primi passi, ma se le mode qui arrivano con qualche anno di ritardo, si può prevedere che nei prossimi cinque anni ci sarà un grande sviluppo di queste attività tra le pareti aziendali. Da tre anni Formenergy propone lo yoga in azienda abbinato al team coaching. «In Amgen Dompè sono stati programmati incontri a cadenza mensile di un paio d’ore in pausa pranzo, con gruppi di 10/12 persone», continua Rizzo, responsabile del progetto yoga e benessere organizzativo. «Alla Barclays, invece, abbiamo effettuato interventi di un’intera giornata per gruppi di funzionari e manager. Con esercizi di yoga e successivi momenti di team coaching, in cui ogni persona ha potuto acquisire la consapevolezza dei propri livelli di stress, della differenza di rendimento tra una persona stressata e una no, della necessità di prevenire lo stress attraverso l’ascolto dei segnali dati dal corpo».

Le formule con cui viene proposto lo yoga in azienda sono diverse e vanno dalla lezione settimanale, allo stage intensivo di uno o più giorni. Yoga Corporate propone il Kundalini Yoga, che combina respirazione, meditazione e rilassamento e che lavora sul corpo attraverso i Kriya, sequenze di posture e movimenti connessi con particolari respirazioni. L’ideatore e responsabile Paolo Santacà spiega «Abbiamo lavorato per cinque anni per Quadrifor, l’istituto bilaterale per lo sviluppo della formazione dei quadri del terziario, che organizza corsi per i quadri aziendali e che per anni ha inserito lo yoga nei suoi programmi. Erano pianificati dieci incontri annuali in forma di workshop tematici, ai quali le varie aziende potevano iscriversi. Uno dei più richiesti è stato quello per il mal di schiena. Tra le altre grandi aziende con cui abbiamo lavorato c’è anche Adecco».

Ama lo yoga anche l’amministratore delegato di Venere.net Marco Bellacci che, insieme all’insegnante Gabriele Paoletti, fondatore della scuola Odaka di Roma, l’ha portato all’interno della sua azienda.

È sempre dall’iniziativa di una persona che si trova in posizione di potere che partono questi programmi innovativi: Betta Gobbi, titolare di Grivel, l’azienda valdostana di prodotti tecnici per la montagna, è anche insegnante di Yoga Kundalini. Ha scoperto questa disciplina 12 anni fa in un momento di stress personale e lavorativo acuto. E da allora non l’ha mai lasciata e, anzi, ha deciso di condividerla con chi fa la sua stessa vita, i manager. «La scorsa estate abbiamo proposto sessioni di yoga per manager a Sagron Mis, in Trentino, e da quest’autunno ho in programma di organizzare weekend a Courmayeur e Cortina. Ho preparato moduli depurati dagli aspetti orientaleggianti. Estrapolare la parte più performante e adatta ai manager è fondamentale, mi interessa che queste persone ne traggano dei vantaggi immediati». E di una cosa è convinta: «Se riuscissimo a creare manager più rilassati, il mondo sarebbe migliore».

DAvide Giansoldati e il suo Yoga della risata alla Zeta Service

DAvide Giansoldati e il suo Yoga della risata alla Zeta Service

Nel 2012 c’è stata anche l’esplosione dello Yoga della risata, che utilizza le pratiche della respirazione yoga unite ad altre atte a generare una risata stimolata che, come è stato scoperto da recenti studi, sulla mente ha gli stessi effetti di una risata spontanea. Davide Giansoldati, autore del libro Ho ho ha ha ha (Xenia) l’ha già portato in molte aziende e la formula varia da sessioni di 1 ora e mezza, a  workshop più approfonditi. «E’ una disciplina che va spiegata e fatta provare», spiega Giansoldati, «quindi per me sessioni di meno di un’ora non hanno senso. A meno che non siano settimanali o quotidiane, allora anche 15/20 minuti darebbero molti benefici».

Come attrezzarsi?

Per praticare yoga l’unico strumento necessario è un tappetino antiscivolo, che consente di fare anche posizioni più difficili in sicurezza. Si trovano mediamente a 20 euro sul mercato. Per il resto, abbigliamento comodo, un po’ elasticizzato perché non sia d’intralcio e nient’altro, perché si pratica a piedi nudi. Possono essere utili un cuscino e una coperta se si fa anche meditazione, o per stare più comodi in determinate posizioni nei primi tempi, in cui si è ancora un po’ rigidi.

Manager italiani che praticano

Sono molti anche i dirigenti italiani praticanti. Per esempio, Federico Hertel della Opus Proclama spa, che ha reso lo yoga una pratica quotidiana. Così come Oscar di Montigny, direttore marketing di Banca Mediolanum, che ogni giorno da 15 anni si dedica a tecniche di respirazione e meditazione. «E’ utile a molte cose, soprattutto a prendere consapevolezza del potenziale della propria sensibilità e ad aumentarla. Per il rispetto che ho per discipline come lo yoga, però, l’azienda non mi sembra ancora il contesto più adatto. Ma mi auguro che il trend prenda presto piede, seguendo quel concetto più olistico di benessere che riconosce la centralità dell’uomo in azienda. Con queste pratiche ho avuto molti benefici anche in ambito lavorativo, aiutano a gestire meglio le sollecitazioni a cui quotidianamente siamo sottoposti. Sul piano del corpo si ha un miglior utilizzo delle risorse energetiche, a livello mentale si è più lucidi,  intuitivi e risolutivi, e sul piano della relazione si riesce a sviluppare capacità nella mediazione. Per me questo è importante, dovendo coordinare più di 200 persone, il che mi fa essere un gestore tanto di relazioni, quanto di progetti». Brunello Cucinelli, imprenditore del cachemire, si dedica invece alla pratica dei Cinque tibetani, cinque esercizi da eseguire ogni giorno, in ripetizioni crescenti, che sarebbero una fonte di giovinezza. Lui sostiene di aver riacquistato 0,25 diottrie di vista, più capelli in testa e vigore sessuale. Detta così, Cinque tibetani per tutti!

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo su “Yoga e manager” pubblicato su Business People di dicembre 2012: Yoga e manager

Che cos’è lo Yoga?

12 Nov

yoga samuela urbiniCosa viene in mente quando si sente la parola Yoga? Un gruppo di donne che, dopo aver recitato dei misteriosi “Om”, assumono una sequenza di posizioni improbabili? Facendo un sondaggio tra i proprio conoscenti, è la risposta più accreditata. Al secondo posto si posiziona chi dice che “lo yoga è come lo stretching”, confondendo chi ha preso ispirazione da chi, dato che Bob Anderson, inventore di questa forma di allungamento muscolare, si ispirò proprio allo yoga quando auto-pubblicò il suo primo libro nel 1975. Seguono altri luoghi comuni come: lo yoga è una religione, un corso dove stai seduto in silenzio per un’ora, e così via. Alcune scuole di Yoga seguono riti che possono somigliare a una forma religiosa, con il canto di mantra che fanno spesso riferimento agli dei indù. Per alcuni in effetti lo Yoga è una religione, ma in occidente lo yoga è piuttosto una ricerca spirituale che va nella direzione della scoperta della propria essenza. Nel 90% delle scuole in cui entrerete, non troverete un gruppo religioso. Si tende a riassumere l’universo Yoga con il vocabolo “unione”, della coscienza individuale con la coscienza universale. Ovvero? Gli antichi yogi credevano che, per essere in armonia con se stesso e la natura, l’uomo avrebbe dovuto integrare corpo, mente e spirito. Affinché questi tre aspetti del sé fossero integrati, emozioni, azioni e intelletto dovevano essere in equilibrio. E per trovare questo equilibrio hanno creato un sistema composto da esercizi fisici (asana), esercizi di espansione del respiro/energia vitale (pranayama) e meditazione: i tre pilastri dello yoga.

Samuela Urbini yoga

Una pratica Yoga a Times Square – New York per celebrare il solstizio d’estate 2012. (courtesy EPA/JUSTIN LANE).

Una seduta di yoga dura in media un’ora o un’ora e mezza e segue un programma composto da esercizi di respirazione, asana (le posture fisiche che sono la parte più conosciuta dello yoga), rilassamento e, in alcuni casi, anche meditazione, anche se questa a volte è insegnata in lezioni separate, pur essendo parte integrante dello Yoga. Lo Yoga non è una ginnastica dolce, richiede volontà e impegno, ma quando lo sforzo è sincero, lo yoga ripaga. E i benefici si sentono fin dalla prima lezione. Due o tre sedute a settimana sono l’ideale per chi ha problemi specifici da risolvere, per interpretare lo yoga come terapia, ma anche una seduta a settimana può essere utile: è il minimo indispensabile per vedere i cambiamenti sul proprio corpo e sul proprio stato mentale ed emotivo.

Ma a cosa serve? Sul piano fisico, lo Yoga rende elastici i muscoli contratti, forti i muscoli indeboliti, riallinea la colonna vertebrale mobilizzandola in tutte le direzioni e facendole perdere i difetti posturali acquisiti col tempo, quindi riducendo o annullando i mal di schiena cronici. Molti studi hanno dimostrato che riequilibra il funzionamento dell’intestino, quindi serve a contrastare la stipsi, la sindrome del colon irritabile, l’aerofagia. È utile per chi soffre d’asma e, sul piano emotivo, allevia i disturbi d’ansia, l’insonnia, lo stress generalizzato. Ed è una disciplina complementare a qualsiasi altro sport, perché compensa le posture viziate dal gesto tecnico-sportivo. E infine, ultimo ma non meno importante, lo yoga fa dimagrire. Non è uno degli obiettivi della pratica, ma un effetto collaterale piacevole. Aiuta a eliminare la massa grassa per il tipo di movimento svolto e la maggior consapevolezza conduce di solito a uno stile di vita, e dunque anche alimentare, più sano che, unito all’attività fisica, porta a perdere peso. Uno studio scientifico svolto su un gruppo di insegnanti di yoga dall’Istituto di Esercizio Fisico e Attività sportiva dell’Università di Milano, coordinato dal professore Arsenio Veicsteinas, specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport, ordinario di Fisiologia Umana e direttore dell’istituto, ha dimostrato che rispetto a quanti fanno una vita sedentaria, nelle persone che praticano Yoga da almeno quattro anni il grasso corporeo è ridotto del 40 per cento e la massa muscolare è aumentata del 30-40 per cento, le ossa sono più dense e la pressione sanguigna è più bassa. Esistono poi aspetti energetici e spirituali dello Yoga, che si apprendono di solito dopo un po’ di tempo necessario a sviluppare consapevolezza del corpo e del respiro.

Tutti possono praticarlo?

samuela urbini yoga teacher

Bette Calman è un’insegnante Yoga di 86 anni e guardate cosa fa! Una perfetta Bakasana, la posizione della gru/ corvo.

Chiunque può praticare yoga, a qualsiasi età, tenendo presente però i propri limiti e le proprie caratteristiche. Siamo esseri unici, quindi le fotografie delle asana sui libri, o le posizioni eseguite dagli insegnanti, devono essere interpretate come ispirazione e non come copia da imitare perfettamente. Con lo Yoga ci si può anche fare male e questo succede quando si pratica senza consapevolezza, cercando cioè di imitare determinate posizioni indipendentemente dai messaggi che il nostro corpo ci dà, sotto forma di dolore. Si può fare qualsiasi asana, ma solo se non si avverte un dolore acuto, momento in cui bisogna uscire dall’asana perché significa che per il corpo quella posizione è una richiesta troppo alta. È buona prassi in caso di disturbi cronici farsi dire dal medico quali movimenti sono da evitare e comunicarli all’insegnante prima di iniziare il corso, che ne terrà conto e vi dirà quali posizioni saltare.

Uno cento mille Yoga

Sono 20 milioni i praticanti di Yoga negli Stati Uniti, più di un milione anche in Italia. E centinaia le scuole sul nostro territorio, alle quali vanno aggiunti i corsi che si tengono in molte palestre di fitness. Ma lo Yoga è un universo variegato ed esistono molti stili di yoga, alcuni che puntano più sugli aspetti fisici, altri su quelli spirituali e meditativi, alcuni dinamici, altri statici. E all’interno dello stesso stile, ogni insegnante avrà il suo modo specifico di tenere la lezione. Non ne esiste uno migliore di un altro, il metodo più sicuro per scegliere è andare a provare una lezione, di solito gratuita la prima volta, valutare le differenze e gli effetti su di sé e poi iscriversi nella scuola che si sente più sulle proprie corde.

Gli indirizzi utili

La Yani è la Yoga associazione nazionale insegnanti, che si pone come garante della qualità della formazione degli insegnanti associati. www.yani.it, 02 8361288.

www.yoga.it è una fonte di informazioni piuttosto completa sui vari stili di yoga, i centri dove si insegna, gli insegnanti nella propria città e i principali seminari e stage.

La rivista di riferimento per lo Yoga è lo Yoga Journal americano (www.yogajournal.com), ma anche quello italiano ha un sito www.yogajournal.it con un’infinità di informazioni, sulle asana, le sequenze da provare, tutti gli aspetti della pratica, i benefici dello yoga per ogni categoria di persone, principianti, donne in menopausa e così via.

Yoga in carcere

Elena De Martin, insegnante di Ashtanga Vinyasa Yoga de La Yoga Shala di Milano.

Lo Yoga è entrato anche nelle carceri, prima quelle statunitensi e indiane, dove la pratica nelle case di detenzione è una realtà da molti anni, e da poco anche in Italia. Il carcere di Bollate (Mi) è stato uno dei primi a introdurre un corso di Ashtanga Vinyasa Yoga nel 2007. «Lo ha richiesto un detenuto», spiega Elena De Martin, insegnante di La Yoga Shala di Milano. «Una mia allieva di Yoga era un’insegnante della scuola superiore del carcere e un suo studente, Francesco, le ha parlato dello Yoga. Hanno scoperto di avere questa passione in comune e così lei mi ha chiesto se ero disponibile a fare delle lezioni in carcere. Così è nato il progetto che continua ancora oggi». Una lezione a settimana con 7/10 studenti in media, di cui 3 o 4 particolarmente dedicati e costanti. Come opera di volontariato, ovviamente. Elena De Martin ha portato in carcere anche due maestri di meditazione indiani, i suoi maestri, e poi altri insegnanti di Yoga internazionali. «I detenuti sono cresciuti per strada, a contatto con la violenza. Vedere 30 persone ad ascoltare dei maestri di yoga mi fa pensare che questi ragazzi hanno capito che possono scegliere anche un’altra via nella vita».

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo su “Che cos’è lo Yoga?” pubblicato su VIVERE IN ARMONIA di novembre 2012: Vivere in Armonia_novembre 2012

Bob Marley, biopic

20 Giu

biopic Marley

Bob Marley in una scena del documentario Marley, in uscita il 29 giugno

L’Hollywood Reporter lo ha definito “il documentario definitivo sull’amatissimo re del Reggae”. Grande attesa dunque per il film-documentario Marley, presentato all’ultimo Film Festival di Berlino e in arrivo il 29 giugno anche in Italia, apprezzato dai critici, chi con pareri entusiasti, chi meno, ma tutti d’accordo sul dire che questo biopic merita di essere visto. Merita perché i 144 minuti della sua durata restituiscono allo spettatore Bob Marley come artista, ma anche come persona, per la prima volta. Non si limita a un elogio della sua musica e al suo attivismo politico, ma mostra anche la vita travagliata di Marley.

Il wallpaper del film Marley

Nato nel 1945 e deceduto nel 1981, a 36 anni, a causa di un tumore, era figlio di una mamma giamaicana e un padre bianco che non conobbe mai e che ebbe molti figli con donne diverse, proprio come Bob replicò più tardi. Questo lo rese vittima di pregiudizi razziali da piccolo, nei quartieri poverissimi in cui crebbe, da Saint Ann Parish, al ghetto di Trenchtown, prima di diventare ricco e famoso e di approdare al quartiere borghese della capitale giamaicana, Kingston, ancora oggi meta di un incessante pellegrinaggio di fan. Il regista Kevin MacDonald (L’ultimo re di Scozia) dedica la prima parte del film alle interviste con i parenti e gli amici d’infanzia di Marley, mentre la seconda è ricca di dietro le quinte e aneddoti sul Marley ricco e famoso, che è anche quello più cinico, egoista e ambizioso, se si pensa per esempio che ha avuto 11 figli da 7 mogli in 15 anni.

Katy Perry, in arrivo anche il suo film

Di tutt’altra pasta invece Katy Perry: Part of Me (3D) che si propone sì come un documentario, ma relativo al suo tour. In uscita ad agosto in Italia e diretto da Dan Cutforth e Jane Lipsitz, il docu-film regalerà ai fan anche un dipinto della Katy Perry fuori dalle scene, ripercorrendo la sua vita personale e artistica con immagini di repertorio e backstage dei concerti tenuti in tutto il mondo. Per colonna sonora, ovviamente, i più grandi successi della cantante, da I kissed a girl, a California Gurls feat. Snoop Dogg, a Last Friday Night e Part of me, che dà il titolo al film-documentario.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo su Bob Marley pubblicato su ON di giugno 2012: ON giugno 2012_Musica

Il respiro degli Dei – Un viaggio alla scoperta dello yoga moderno

19 Apr

Il respiro degli Dèi è un film-documentario che vuole essere un viaggio alla scoperta dello yoga moderno, come recita il sottotitolo italiano. Come fa notare qualche puntiglioso alla fine del film durante il dibattito con il regista Jan Schmidt-Garre, lo yoga moderno non è solo quello del Sud dell’India, nato intorno alla figura di Sri Tirumalai Krishnamacharya, fondatore della prima Yogashala (scuola di yoga) a Mysore negli anni 30, per volere del Maharaja. Ma, come Schmidt-Garre sottolinea, senza l’opera di divulgazione dello yoga compiuta da Krishnamacharya (studiò l’inglese per poter comunicare anche con gli occidentali che si recavano da lui per imparare lo yoga), forse neanche gli altri stili e tradizioni dello yoga, oggi diffusi in Europa e negli Stati Uniti, sarebbero arrivati.

Un viaggio alla scoperta delle origini dello yoga moderno

La locandina del film Il respiro degli Dèi, di Jan Schmidt-Garre

È una tesi, è quella del regista, e dunque va accettata. Perché, mettendo da parte tutte le proprie convinzioni, le proprie conoscenze e studi, visto che si sta parlando di una materia in cui neanche la datazione dei libri classici è una certezza, ci si può godere un film sincero e onesto che, senza fronzoli e finte rappresentazioni dell’India (non si vedono splendidi tessuti di seta, incensi che bruciano ovunque e sale lucidate da poco, ma solo la cementificata Mysore, con il suo traffico chiassoso e il livello di pulizia medio in India, che non corrisponde certo a pavimenti splendenti), ci restituisce un’immagine viva dei guru più influenti del XX secolo. Dall’ancora vivente B.K.S. Iyengar, che si vede anche praticare yoga all’età di 88 anni, a Sri K. Pattabhi Jois, fondatore dell’Ashtanga Vinyasa Yoga, che ha lasciato il suo corpo durante le riprese del film. Si colgono la loro diversa personalità e il loro personale rapporto con il maestro Krishnamacharya, nonché le differenze nella pratica.

Lo proietta in esclusiva italiana lo Spazio Oberdan di Milano. Andatelo a vedere se praticate yoga, ovviamente, ma anche se avete qualche aspirazione di crescita spirituale e se desiderate passare un’ora e 40 minuti ammirando uomini (sì, sono guru, ma per uno che non li conosce “uomini” è sufficiente) che hanno dedicato la loro vita a un’attività apparentemente superflua e dalla dubbia utilità, che invece provata sul proprio corpo, mente e spirito, è la più bella attività che si possa fare: lo yoga.

La sinossi:

Stando alla tradizione indiana le origini dello yoga sono da attribuirsi al dio Shiva, ma pochi sanno che in realtà a dare forma a questa disciplina, portandola al successo, è stato negli anni Trenta il saggio Tirumalai Krishnamacharya. Per raccontare questa storia sconosciuta ai più il regista Jan Schmidt-Garre intraprende un viaggio in India alla scoperta di questa disciplina. Lungo il suo percorso giunge nella splendida reggia del Maharaja di Mysore, dove incontra alcuni tra i leggendari studenti del maestro Krishnamacharya. Qui il regista impara il saluto al sole direttamente da Pattabhi Jois e si fa rivelare da Sribhashyam, il figlio del grande saggio, la segreta “sessione salva-vita”.

Per info: http://oberdan.cinetecamilano.it

L’arte della Pixar

28 Mar

Avete amato la trilogia di Toy Story, Alla ricerca di Nemo, Ratatouille, Cars, Wall-E, Gli Incredibili e Up? Non perdete la mostra Pixar, 25 anni di animazione, curata da Elyse Klaidman e, in Italia, da Maria Grazia Mattei, che dopo essere stata al MoMA di New York, ora è in tour mondiale e, in anteprima europea, è stata aperta fino al 14 febbraio al PAC di Milano e ora si è trasferita a Mantova a Palazzo Te (fino al 10 giugno 2012, www.centropalazzote.it). Non vedrete solo la storia dei film d’animazione e dei cortometraggi della Pixar, ma l’arte che è la base di ognuno di essi. E che dal prodotto finale nessuno si aspetterebbe mai.

Il simbolo della Pixar, tratto da un vecchio cortometraggio.

Molti non sanno che la maggior parte degli artisti che lavorano in Pixar utilizzano i mezzi propri dell’arte (il disegno, i colori a tempera, i pastelli e le tecniche di scultura), come quelli dei digital media”, ha ricordato John Lasseter, Ceo dei Walt Disney e Pixar Animation Studios durante la conferenza stampa d’apertura. “La maggior parte delle loro opere prendono vita durante lo sviluppo di un progetto, mentre stiamo costruendo una storia o semplicemente mentre guardiamo un film. La ricchezza del patrimonio artistico che viene plasmato per ogni film raramente esce dai nostri studi, ma il film finito non sarebbe possibile senza di esso”.

samuela urbini giornalista

Una tavola preparatoria per Wall-E. Eve, la robottina del futuro

La mostra, realizzata in collaborazione con The Walt Disney Company Italia, presenta invece proprio questo: la fase creativa e nascosta dei maestri dell’animazione mondiale. E illustra in maniera molto efficace i tre elementi essenziali di ogni film Pixar: il personaggio, la storia e il mondo immaginario in cui la storia si sviluppa. Come ha ricordato anche Lasseter: “La storia deve essere avvincente e imprevedibile. I personaggi devono essere interessanti e attraenti, anche i cattivi. E infine il contesto dev’essere un mondo credibile. Non realistico, ma credibile. Per fare un film realistico, basterebbe una macchina da presa. Per far approdare i personaggi di Cars 2 in Italia, invece, abbiamo dovuto costruirla l’Italia. Ed è soltanto il mio grande amore per questo Paese che mi ha consentito di creare tutti quei dettagli che hanno reso la nostra ricostruzione così credibile”. Scoprire il processo creativo della Pixar è sbalorditivo come la bellezza dei suoi film. E vedere le tavole disegnate a mano e firmate dallo stesso John Lasseter, così come quelle degli altri disegnatori, dà un’emozione particolare.

La maquette di Carl Fredricksen, il protagonista di "Up!"

E che dire delle maquette (sotto, quella di Carl Fredricksen, il protagonista di Up!), le sculture d’argilla che riproducono i personaggi in 3 dimensioni, dalle quali gli animatori prendono spunto per rendere bene la tridimensionalità del personaggio nel film? Sembrano avere un’anima. E siamo sicuri che un’altra cosa farà impazzire gli appassionati Pixar: il peloso Sullivan che è l’unico pupazzone in dimensioni reali (supera il metro e 80 cm) che vi dà il benvenuto all’ingresso della mostra, in compagnia del suo piccolo assistente verde monocolo Mike Wazowski. Da qui si entra nel sogno.

John Lasseter racconta

“L’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte”. È questo il motto del capo carismatico dei Walt Disney e Pixar Animation Studios, il 54enne John Lasseter. In occasione dell’inaugurazione della mostra a Milano era presente e ha tenuto un bel discorso di cui riportiamo qualche pillola. “Dal 1979 agli inizi degli anni 80 alla Lucas Film riuscii a raccogliere l’eccellenza dei ricercatori della computer grafica. Ero il primo animatore di formazione tradizionale a entrare a far parte di questo mondo tecnologico. La matematica non è mai stata il mio forte, però io sapevo disegnare e creare dei personaggi con delle emozioni. Ed ero a contatto con giovani che non solo sapevano usare i programmi di animazione, alcuni li avevano proprio creati! Mi sono reso subito conto che non avrei mai saputo usare quei programmi bene quanto gli specialisti. Così mi sono messo al loro fianco, sfruttando il mio bagaglio.

Il cortometraggio più bello della Pixar!

Alla Disney avevo imparato a creare dal nulla un personaggio con emozioni che si esprimevano attraverso il movimento. Lavorando con queste persone, ho avuto grandissime ispirazioni dalla tecnologia, idee che non avrei avuto altrimenti. Come ho già detto: l’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte. La tecnologia da sola non ha mai divertito nessuno. È quello che si fa con la tecnologia che può divertire. Noi usiamo l’arte e la tecnologia per intrattenere la gente. Ma al di là di questi film ci sono migliaia di opere d’arte che ci ispirano e che ci aiutano e tutto questo non viene mai messo in mostra. Oggi abbiamo l’occasione per farvi vedere tutto questo. Per ognuno il senso di realizzazione è diverso. Per alcuni è fare un blockbuster. Per me è potermi sedere di fronte a una platea e osservarla mentre si diverte guardando un film Pixar”.

Il prossimo film Disney Pixar

C’è sempre grande attesa per i film d’animazione Pixar. Dopo Cars 2, uscito nel 2011, il 2012 sarà l’anno di Brave – Coraggiosa e ribelle, ambientato nelle highland scozzesi, che racconta le gesta della principessa Merida, un’eroina dai lunghi capelli rossi e ricci, che sfida un’antichissima usanza scatenando involontariamente il caos e che dovrà imparare cos’è il vero coraggio prima che sia troppo tardi. Uscirà a giugno negli Stati Uniti e il 5 settembre 2012 in Italia.

samuela urbini giornalista

Merida, la protagonista di Brave - Coraggiosa e ribelle

Cover mania

24 Gen

Emma Stone nel film Easy Girl

Nella commedia Easy Girl la protagonista Emma Stone riceve un biglietto di auguri musicale, con il ritornello della canzone d’amore di Natasha Bedingfield, Pocket Full of Sunshine. Inizialmente giudica la musichetta insopportabile, ma a
furia di risentirla si ritrova a canticchiarla, poi a cantarla e a ballarla per intero. Fenomeno molto frequente soprattutto tra i teenager (ma anche tra i bambini), che si innamorano di una canzone e, invece di stare davanti alla televisione tutto il giorno, impiegano il loro tempo girando video, in cui la interpretano a modo loro.

Alcuni fanno delle parodie (sull’onda del precursore “Weird Al” Yankovic di I’m Fat), altri suonano e cantano, alcuni invece montano dei veri e propri videoclip semi-professionali. Li caricano su YouTube e sperano di essere notati. Perché in effetti questo può accadere. Dalla propria stanzetta ci si può risvegliare famosi, come ha fatto Justin Bieber, teen idol canadese, scoperto per caso sul sito quando aveva 15 anni. Simile alla sua storia è stata quella del 14enne australiano
Cody Simpson.

fastwebmagazine

L'articolo pubblicato su ON di novembre 2011

YouTube è zeppo di cover: delle canzoni di Lady Gaga si trova ogni tipo di interpretazione, ma anche di Rihanna, Katy Perry e molti altri. E se si vanno a contare le visualizzazioni, si scopre che degli sconosciuti sono diventati su YouTube star da milioni di visite. Provate a cercare nomi come Alex Goot o Christina Grimmie, e vi si aprirà un mondo. Oppure Mike Tompkins, un vero genio che fa tutto da solo, canta, crea la musica a cappella, riprende il tutto e infine monta video molto divertenti. Ha oltre 200 mila iscrizioni e le sue canzoni sono state viste oltre 30 milioni di volte. Insomma: i talent show non sono che una goccia, in mezzo a un mare di ragazzini che hanno dei talenti e che provano con l’aiuto delle nuove tecnologie a farsi notare. A volte riuscendoci.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’articolo sulla manie delle cover di cantanti famosi pubblicato su ON di novembre 2011: ON novembre 11 Cover mania

I nuovi sex symbol

17 Gen

Sex symbol è un termine usato per spiegare quella particolare popolarità che solo poche star hanno, perché risultano

il tennista Rafael Nadal per Armani

Rafael Nadal testimonial per Armani Jeans ed Emporio Armani Underwear

attraenti per la maggior parte delle persone. Erano sex symbol i primi divi del cinema muto, Greta Garbo e Rodolfo Valentino, ed erano sex symbol Marilyn Monroe e Brigitte Bardot. Fino agli anni 60 erano principalmente gli attori e le attrici del cinema a fregiarsi di questo titolo, ai quali si aggiunsero, dagli anni 70 e 80, le rockstar. I 90 furono gli anni delle top model, bellezze mai passate di moda, mentre negli anni 2000 celebrities di vari campi possono vantare questo titolo: dal cinema alla musica, alla moda e, per la prima volta, al mondo dello sport.

Oggi gli atleti sono le nuove rockstar. Perché hanno il plus valore di non essere solo belli: si sono dati da fare per arrivare dove sono. Per questo i più grandi marchi di moda li scelgono per accrescere la propria visibilità. Gli atleti curano la loro immagine come i modelli, hanno agenti che gestiscono le loro relazioni con i mass media e diventano sponsor per il loro sport, ma non solo. Armani per anni ha avuto grandi calciatori come testimonial: David BeckhamRicardo Kakà, Cristiano Ronaldo. Lo scorso agosto, con l’appannarsi dell’immagine del calcio, ha scelto il nuovo testimonial per Armani Jeans ed Emporio Armani Underwear nel mondo del tennis: Rafael Nadal (realizzata dal fotografo Steven Klein).

la più bella praticante di Kickboxing

La campionessa di Kickboxing Christine Theiss

Ma l’erotismo ha molti volti e, chissà perché, due donne che lottano scatenano nell’immaginario maschile qualcosa di erotico. La domanda risulta meno arcana se a lottare è una come la tedesca Christine Theiss, campionessa del mondo di full-contact kickboxing: alta 175 cm per meno di 60 kg di peso, ha le proporzioni di una statua greca. Infatti ha guadagnato una copertina su Maxim. In più è anche cardiologa, la testimonial perfetta per qualsiasi brand: bella, salutista, sexy e pure intelligente.

Accanto a lei tra le “picchiatrici” più belle e fotografate di sempre, va citata Natalia Ragozina, la super-boxeur russa con alle spalle 7 titoli mondiali, 22 vittorie e nessuna sconfitta. E un servizio fotografico per Penthouse. La rivista americana Men’s Health ha appena stilato una classifica delle atlete più sexy del 2011 e, al primo posto, spicca l’olimpionica lanciatrice di giavellotto Leryn Franco, paraguayana di 29 anni.

sportivi nuove icone sexy

L'articolo pubblicato su ON di novembre 2011

Dietro di lei, altre campionesse: l’americana Alana Blanchard (surf), la campionessa australiana di mountain bike Niki Gudex e Heather Mitts, doppia medaglia d’oro olimpica con la nazionale di calcio Usa. Amanda Beard, campionessa di nuoto americana, è anche modella ed è stata cover girl di Playboy. E che gli atleti siano diventati sex symbol lo dimostra anche il fatto che tra i calendari cult di ogni anno troviamo il Dievx du Stade, con i giocatori di rugby vestiti solo con una palla ovale. Oppure Cyclepassion, con le più belle del ciclismo. E se persino George Clooney presenta come fidanzata ufficiale Stacy Keibler, ex wrestler, vuol dire che le sportive sono definitivamente diventate glamour.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo sui nuovi sex symbol pubblicato su ON di novembre 2011: ON novembre 11 new sex symbol
article by samuela urbini

Restare in forma e in salute fa paura

16 Gen

“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini sensibili possa cambiare il mondo; in effetti la sua forza è l’unica cosa che lo abbia mai cambiato.” Margaret Mead

Il mondo, almeno il piccolo mondo che io conosco, sembra spaventato dall’informazione. Purtroppo, bene o male, io mi occupo di informazione e a me questa parola non fa così paura e mi fanno paura invece quelli che mi guardano con sospetto quando rispondo alle loro curiosità, alle loro domande, alle quali per qualche casualità io sia in grado di rispondere.

Ultimamente mi interessa il tema della disinformazione sull’alimentazione. E di conseguenza sulla salute o su quello che ci raccontano essere salutare. Hai detto niente, ci saranno un milione di libri e filmati a proposito. Infatti qui “posto” un interessante documentario che è una sintesi non troppo sintetica di alcuni temi su cui la disinformazione pare si sia concentrata, tanto che se dite a qualcuno, per fare un esempio, che non bevete più latte, vi guarderà (soprattutto se siete una donna, “ma come: e il calcio?”, una risposta automatica) come se aveste detto di essere appena entrati a far parte di una setta. Ecco, quello che la maggior parte della gente non capisce è che chi assume determinate scelte alimentari, sulla propria alimentazione, A: ci ha meditato su, dunque è un’assunzione di consapevolezza, non una delega a qualche santone che gli ha detto cosa fare; B: non intende evangelizzare nessuno; C: se gli si chiede spiegazione per la propria scelta, di solito dà risposte argomentate sulle quali varrebbe la pena di farsi venire almeno il dubbio che su 100 parole almeno 1 possa essere azzeccata, e andare a informarsi; D: informandosi potrebbe capitare di scoprire qualcosa che giova alla salute.

Sul mondo di ciò che mangiamo ci raccontano da anni tante storie verosimili, ma non vere. Non so se in buona fede, cioè se alcune conoscenze sono arrivate solo in tempi successivi. Diamo questo beneficio del dubbio. Fatto sta che se siete entro i 40, con la disinformazione ci siete nati, ovvero siete figli di genitori oculatamente disinformati che hanno disimparato ciò che di salutare mangiavano da piccoli. E quindi siete (siamo) cresciuti con bastoncini, sofficini, saccottini e crocchettini tanto gustosi, ma tanto schifosi. Ma non credete: pasta, riso e zucchero sono tutti prodotti raffinati che fanno male egualmente (a meno che non mangiate cereali integrali…).

Io sono dell’idea che non sia mai troppo tardi per pensare alla propria salute. Il punto è che mangiando ci intossichiamo giorno dopo giorno, sempre di più, e non c’è il dubbio che possa non essere così. Perché non informarsi un pochino, oggi su una cosa, domani su un’altra? Lo facciamo per noi stessi: siamo tutti terrorizzati dal cancro, tanto che molti non riescono nemmeno a pronunciarne il nome. Al di là delle predisposizioni genetiche, su cui non possiamo fare niente, perché non fare del nostro meglio per non andarcela a cercare? Guardiamo i fumatori come dei drogati e non vediamo che anche noi, mangiando, forse ci comportiamo da drogati?

Ecco il documentario di cui parlavo all’inizio. Lungo quanto un film. Vi segnalo alcuni punti chiave, per facilitarvi la visione rapida.

Il video si intitola Un equilibrio delicato (A delicate balance). L’ha realizzato l’australiano Aaron Scheibner (Phoenix Philms) ed è stato doppiato in italiano a cura di AgireOra Edizioni, con la supervisione scientifica e il contributo di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana – SSNV.

Ecco alcuni punti salienti:

Cosa sono le proteine animali e le proteine vegetali – minuto 7.00

Ancora proteine – minuto 24

Calcio e disinformazione – minuto 30

La disfunzione erettile – minuto 36.50

Le malattie autoimmuni (tra cui diabete di tipo 1) – minuto 40

Osteoporosi e disinformazione – minuto 47.30

Cosa bevono i vitelli (visto che il loro latte lo beviamo noi) – minuto 56

Pesce (“fa bene!”) e disinformazione – 57.30

Il dilemma del salmone – minuto 1h.17

I dolci sono come l’oppio – minuto 1h.20

E segnalo anche un libro che non ho ancora letto ma forse può essere interessante: The China Study, Macro Edizioni, anche in edizione italiana:

alimentazione vegetariana studio

The China Study

http://www.thechinastudy.it/

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