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MSC Divina e gli architetti de Jorio

23 Ott
de jorio international architetti

Marco, Giuseppe e Vittorio de Jorio, della de Jorio Design international

Come le sistership Fantasia e Splendida, anche Divina, l’ultima nata in casa MSC, è stata progettata da De Jorio Design International, lo studio genovese tempio del design nautico italiano che da molti anni disegna le navi da crociera di Gianluigi Aponte. La Divina condivide in buona parte con le sorelle MSC Fantasia e MSC Splendida l’impianto distributivo e urbanistico e la morfologia di molte aree, tuttavia una serie di interventi significativi ne hanno modificato i contenuti e la qualità. “Ogni nave ha la sua personalità”, commenta l’architetto Marco De Jorio. “In questa, i materiali e i colori sono stati raffreddati. Come si vede entrando nel Foyer, dove c’è molto più acciaio, la scelta dei colori è ricaduta sull’uso di molti grigi, accostati al viola o al bordeaux. Rispetto alle precedenti, la Divina è volutamente più fredda, quindi anche più contemporanea”.

Rispetto ai competitor internazionali, il suo interior design spicca per eleganza e originalità. “Esistono anche altri architetti italiani che lavorano per armatori stranieri, ma si adattano al 100 per 100 a un gusto più commerciale”, continua De Jorio. “La nostra proposta, invece, è coerente con quella che è l’immagine del brand MSC, il valore aggiunto di un armatore che produce un prodotto non solo europeo, ma italiano”.  Ecco dunque che l’interior diventa prodotto esso stesso: una grande attenzione è posta sulla ricerca del dettaglio e nell’uso proprio e coerente dei materiali, che significa che se si desidera una parete di marmo, la si fa in marmo, e non con materiali “finto-marmo”, come succede in altre realtà, con qualche eccezione nel caso del legno, per esempio, ma solo per esigenze di sicurezza. Rafaela Aponte, moglie dell’armatore, è stata come sempre un elemento cardine: “È il nostro referente fondamentale”, ha aggiunto De Jorio. “Sono sue le approvazioni di tutti i colori e i materiali che le sottoponiamo. E poi fa le sue scelte: una nave riflette sempre la proprietà”.

La novità di cui lo Studio è più orgoglioso è la Garden Pool, la piscina di poppa in stile “infinity”, in cui l’acqua si estende fino al bordo della nave ed è separata dallo spazio esterno da una vetrata. “Cattura perché è molto estroversa”, specifica l’architetto De Jorio. “È lineare, ha volumi molto bassi per stimolare l’interazione con l’esterno, cosa molto rara oggi”. L’atmosfera meditativa creata in quest’area Zen è coadiuvata dalla presenza di pavimenti trattati a finitura “erba” e da quattro sculture che sembrano dei grandi sassi, contenenti degli speaker che diffondono suoni naturali, new age, che fanno da sottofondo alla piscina. 

la piscina della nave da crociera Msc divina

La garden pool della MSC Divina

Anche se molti spazi sono uguali alle navi sorelle, gli architetti De Jorio (che oltre a Marco sono il padre Giuseppe, fondatore dello studio, e il fratello Vittorio) e il team di 12 persone che ha lavorato su questo progetto per oltre 1 anno, sono stati capaci di dare nuova personalità agli ambienti grazie alle innovazioni continue. Nei materiali innanzitutto: “Nelle palestre e spa, oltre ai marmi, utilizziamo sempre cementi con impasti nuovi. Per le piscine facciamo realizzare mosaici speciali. Nella Garden Pool, per esempio, ci sono mosaici di vetro e platino particolari, con elementi specchianti, che fanno da contrasto con il teak”. Un’altra grande novità è costituita dal ristorante-discoteca Galaxy, panoramico, che ricalca la tendenza delle località chic italiane, come Forte dei Marmi (La Capannina), dove il ristorante elegante ha la sua sala da ballo. “In Galaxy la scelta dei colori è raffinata, basata sul grigio e il nero, con elementi in rosso bordeaux, come i divani in velluto, che spiccano. L’illuminazione è l’elemento centrale: quella che è la luce naturale di giorno, proveniente dalla vetrata a tutta altezza, di notte diventa un gioco grafico generato da pannelli luminosi che disegnano sagome di lampade”. Un’infinità di particolari, insomma, in attesa di scoprire le novità che vedremo sulla Preziosa, la prossima nave MSC che dovrebbe essere in consegna a fine aprile 2013

Articolo scritto da: Samuela Urbini

Per vedere l’articolo sullo studio de Jorio di Genova pubblicato su CROCIERE n. 3 luglio 2012: http://www.playmediacompany.it/riviste_sfoglio/crociere/2012_3/index.html#/34/zoomed 

Scalpellino rampante: i marmi della Vuillermin Gualtiero

18 Gen

Sulla soglia del cortile d’ingresso dell’azienda Vuillermin Gualtiero, nella bassa Valle d’Aosta, si viene accolti da una scultura di uno scalpellino e da un motto: “bien faire et laisser dire”, ovvero, fare bene e lasciare dire. Il castello di Verrès si vede lassù, sul cocuzzolo che spunta da dietro i blocchi di marmo depositati nel piazzale antistante gli uffici e il laboratorio. A guidare l’azienda specializzata nell’estrazione, lavorazione e commecializzazione di graniti, in particolare del Granito verde argento e della Pietra Verde di Courtil, troviamo Ivano Vuillermin, figlio di Gualtiero, che fondò l’impresa quasi 60 anni fa (l’anniversario ricorre nel 2011).

Il cavallino in marmo - Vuillermin - Foto @Alessandro Bianchi

Appassionato del suo lavoro (si presenta ogni giorno alle sei del mattino…), ma soprattutto di auto sportive. Al punto da aver unito in matrimonio questi due amori, per dare vita a degli scudetti di Ferrari, Maserati, Lamborghini e Porsche realizzati in marmo. Ivano è un uomo dinamico e un vulcano di idee, non tutte a fine di lucro. Anche questa degli scudetti, per esempio, non è che un divertissement personale. “Lo spunto mi è venuto dalla concessionaria Ferrari di Torino, che mi aveva commissionato un Cavallino Rampante per lo showroom”, spiega Vuillermin. “Lo abbiamo realizzato di 2 metri per uno e c’è ancora oggi! Poi un collezionista svizzero che aveva 12 Ferrari ed era stato in quella concessionaria, ce ne ha commissionato un altro”. E da lì è nata l’idea. All’epoca il lavoro era durato mesi. Gli scudetti di circa 60 cm per 40 che fanno bella mostra di sé nel suo ufficio, invece, si fanno in tempi molto più brevi, grazie ai macchinari moderni a getto d’acqua e polvere di diamante.

Ma come è nato l’amore per le auto? “Mio padre seguiva i rally e, di nascosto da mia madre, mi ha sempre incentivato in questa mia passione. A 18 anni facevo su e giù per tutta la Valle alla ricerca di case in costruzione, per presentare la nostra pietra. Ero sempre in macchina ed ero contentissimo. Giravo con una Lancia Delta trasformata da

ghiaccio, la stessa che usavo per correre”.

Gli scudetti Ferrari in marmo… e le supercar, vere

Uno degli scudetti Ferrari realizzati con il marmo Giallo siena, Nero Belgio, e la parte in alto tricolore, con il Verde della Valle d’Aosta, Bianco dalla Grecia e Rosso Francia, Vuillermin lo ha regalato all’ingegnere Mauro Forghieri, fra i più stretti collaboratori di Enzo Ferrari e responsabile di tutte le Formula 1 dal 1963 al 1984. Conosciuto a una conferenza, gli ha scritto una dedica su un suo libro: “A Ivano e alla meraviglia per lo stupendo presente che mi ha fatto”.

Un riconoscimento dal valore emotivo molto alto per Ivano, che si è comprato la prima Ferrari a 27 anni, sempre con la complicità del papà, che però quando lo vide entrare in cortile gli disse “Non te la sei neanche comprata rossa?”.

Ivano Vuillermin

Ivano Vuillermin - articolo pubblicato su Autocar di novembre 2010 - foto @Alessandro Bianchi

Perché la GTB 308 del 1984 era azzurra. L’ha rivenduta dopo due anni per una GTS 308 Quattrovalvole, sempre usata. La terza è arrivata nel 1988 e fu la prima acquistata nuova. Era una GTS 328, mentre la quarta è stato il regalo per il 50esimo compleanno, il 15 luglio del 2007: una F430 F1 Spyder.

L’inventiva è una dote di famiglia. Il padre era segretario comunale. Un giorno, ristrutturò un comò alla moglie, sostituendo il piano in legno con uno in marmo Verde di Gressoney, e quel mobile diventò bellissimo. Tanto che gli fece accende la lampadina: comprò una fresa e iniziò a lavorare il marmo che acquistava a Carrara. Così nacque la Vuillermin Gualtiero. Un’impresa che oggi esporta le sue creazioni per interni e per esterni in tutto il mondo, da Hong Kong, al Kuwait, da Singapore alla Francia. E nell’elenco dei lavori svolti compare anche la Villa di Alain Prost a Ginevra, quella di Donald Trump ad Atlanta City e uno splendido attico di 1800 mq in piazza San Babila a Milano, con 400 metri di terrazze con marmo verde. Chapeau.

Marmo d’artista

La sindone in marmo di Ugo Vuillermin, artista del marmo

Ugo Vuillermin, il fratello maggiore di Ivano, è un artista del marmo e utilizza una tecnica seicentesca, derivante dall’acquaforte per l’incisione su marmi e vetro, tramandata di generazione in generazione a una sola persona, di cui dice di essere l’unico depositario, dal momento che il suo maestro, Giorgio Zambelli, è mancato qualche mese fa. Non entriamo nel merito di questa affascinante storia che si legge anche nel luccichio degli occhi di Ugo mentre la racconta. Lasciamo invece che sia la sua Sindone (nella foto) a parlare da sé: riproduce su una pietra dura come il marmo persino la trama precisa del lenzuolo. Ed è fermata su una tavola di legno massello da tre chiodi: due ai lati, come sulle mani di Gesù in croce, e uno in basso, come quello sui suoi piedi.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’articolo sui marmi di Ivano Vuillermin pubblicato su Autocar di novembre 2010: Autocar nov 2010 Vuillermin

Intervista a Sofia Milos

16 Gen

La star di CSI: Miami, The Border e I Sopranos

Sofia Milos è nota soprattutto al pubblico maschile, che ama le storie poliziesche e quelle che parlano di malavita in generale.

pubblicata su ON di ottobre 2010

Deve avere il phisique du rôle del tutore dell’ordine, perché da anni la vediamo in Csi: Miami, ne I Sopranos e ora anche in The Border, la serie per la tv che racconta le vicende di una sezione speciale della polizia che lavora al confine tra Canada e Stati Uniti. E fuori dal set? Guardiamola un po’ più da vicino in questa intervista in esclusiva rilasciata a ON.

Parli sei lingue, sei nata in Svizzera, hai abitato a lungo in Italia, dove vive ancora la tua famiglia, ma anche in molti altri luoghi del mondo… Dove ti senti a casa? Mi sento assolutamente italiana. Certo, avendo vissuto per 18 anni in America, certe influenze hanno sicuramente rimodellato le mie abitudini. Ma i miei valori e i miei gusti sono italiani e il mio cuore batte per l’Italia.

Poliziotta israeliana nel film The Order, killer di professione nella fiction Thieves, assassina ne
I tre moschettieri, detective in CSI: Miami, agente federale in The Border, detective nell’ultimo telefilm girato, Tatort… Tutti ruoli da donna forte. Tu però hai dichiarato di essere molto orgogliosa del film Passionada, in cui interpreti una cantante di fado sensuale e romantica. In quale ruolo ti senti più a tuo agio e quale ruolo vorresti interpretare in futuro? In generale mi piace interpretare il ruolo di una donna forte perché so che le donne sono forti. Magari piangiamo quando ci arrabbiamo come espressione ulteriore, ma non per debolezza. Le donne hanno tante sfumature e bellezze per cui dimostrare la forza che una donna ha, attraverso i miei ruoli, diventa naturale. Per me è stata anche una scelta personale, mentre scoprivo chi ero e di cosa sono capace.
L’arte imita la vita e la vita imita l’arte, non per niente. Così in questo tragitto e nella bellissima avventura che il
mio lavoro mi offre ho imparato molto di me stessa. Oggi mi farebbe piacere anche interpretare di nuovo dei ruoli
comici, fare una commedia romantica. Ma in fondo, comico o drammatico, è il bel ruolo che mi affascina e mi attira.

Cosa ricordi del periodo in cui interpretavi l’agente speciale Bianca La Garda in The Border? Questo dramma poliziesco di produzione canadese per la CBC mi è stato proposto all’aeroporto di Toronto mentre facevo scalo per venire in Italia. Vennero i produttori e il regista alla vip lounge, come il mio agente di Los Angeles aveva organizzato, e per due ore parlammo della serie e del mio futuro ruolo di Agente speciale Bianca La Garda, una italo-cubana immigrata in America e oggi donna forte e di potere. Accettai il ruolo una settimana dopo e un mese più tardi iniziai a girare e a vivere a Toronto 6 mesi l’anno, pur avendo casa a Los Angeles. Ho fatto due anni e i primi episodi della terza stagione in Canada e poi sono tornata a Los Angeles a girare qualche puntata della serie Csi: Miami, sempre nei panni di Det Yelina Salas, ruolo che interpreto da sette anni oramai. E torno sul set di Csi Miami proprio questo ottobre.

Anche durante le riprese di The Border avevate ritmi americani, da 16 ore al giorno? Peggio! Anche 18 ore. Spesso si iniziava la settimana di lavoro alle 5 di mattina, quindi sveglia alle 4, cosa che ritengo estremamente scioccante per il mio metabolismo, per poi terminare le settimane con uno start a mezzogiorno e la fine delle riprese alle 5 di mattina. Ora che ti struccavi e andavi a letto era l’alba. Per poi ricominciare il lunedì mattina di nuovo alle 5. Follie che si fanno. Insomma, non mi stupisco che tuttora spesso io sostenga orari pazzeschi: fa parte del mio lavoro e il mio lavoro lo amo per tutte le soddisfazioni che mi porta.

Dicono che tu sia una donna, oltre che bellissima, spiritosa e intelligente. Ma avrai anche tu qualche difetto… Certo! Sarei noiosa se non fosse così. Faccio mille cose al giorno, tante ma anche bene, e in modo preciso e veloce. Mi piace essere professionale. Non lascio mai nulla a metà. E questo sicuramente ha innervosito alcuni, sul mio cammino, che magari non fanno come me. O cosi velocemente come me, o in modo altrettanto preciso. Non siamo tutti uguali. Ma meno male che nell’umorismo ci si ritrova sempre. Ridere è il solvente di tutti i mali. E poi, mi dice il mio fidanzato, fin quando rompo le scatole ogni giorno un pochetto, il paradiso non mi vuole, quindi per campare a lungo dovrò continuare a rompere le scatole, in maniera buona (ride, n.d.r).

Quando non lavori, ti alleni. Che sport pratichi, o come ti tieni in forma (splendida)? Intanto grazie per il complimento. Amo allenarmi perche mi dà energia, quindi pratico attività fisica regolarmente credo da quando avevo 17 anni. Amo lo sport in generale, forse oggi preferisco però Pilates, power walking (camminate veloci) sul lungo mare di Santa Monica, bicicletta e un po’ di jogging. Mi piace anche lavorare sul power plate, a casa o in qualsiasi hotel mi trovi quando sto girando. Se ti piace lo sport, trovi sempre qualcosa da fare.

Cosa ti piace al cinema? Quando vado al cinema è più per divertirmi che per piangere, o urlare. Quindi commedie, o film d’azione, o thriller. Ammiro molto Sergio Castellitto, i film di Gabriele Salvatores, o Bernardo Bertolucci. Tra i registi americani, invece, Martin Scorsese, Woody Allen, Quentin Tarantino, per citarne alcuni. Con loro farei qualsiasi genere di film.

Hai una fede, o segui qualche maestro spirituale? Sono cresciuta cattolica e sono una donna spirituale. Amo tutto ciò che ci rende più forti, abili, consapevoli e, soprattutto, capaci di aiutare gli altri.

La poesia di Vincenzo Cardarelli che hai pubblicato sul tuo sito è legata a qualche ricordo particolare? Il testo è questo: Non so dove i gabbiani abbiano il nido,/Dove trovino pace./Io son come loro,/in perpetuo volo./
La vita la sfioro/com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo./E come forse anch’essi amo la quiete, la grande quiete marina, ma il mio destino è vivere/balenando in burrasca. Mi è stata inviata da un fan e mi è molto piaciuta, perché mi sono identificata in essa, da cittadina del mondo, gitana di cuore. Anche se ho sempre desiderato una famiglia e una dimora fissa, ciò ha tardato un po’ nella mia vita. Ma arriverà.

Sei innamorata? Sono innamorata della vita, di mia mamma, dei miei amici e di un Gitano che mi ha rubato il cuore. Ma non ne faccio un atto pubblico.

Quante volte all’anno vieni in Italia, di solito? Vengo spesso e volentieri, l’Italia rimarrà sempre la
mia seconda casa. È l’ossigeno di cui ho bisogno. C’è chi scappa dall’Italia proprio per trovare “aria fresca”. Io
invece vengo a fare il pieno qui.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’intervista a Sofia Milos pubblicata su ON di ottobre: ON ott_Milos

Intervista a Michela Cescon

16 Gen

“Se tornassi indietro, rifarei l’incidente”.

Architetto Michela Cescon. Doveva esserci scritto questo sul suo biglietto da visita. Invece, una notte di tanti anni fa, quando lei di anni non ne aveva neanche venti, un ubriaco investe lei e un suo amico in Vespa, lei si frantuma un femore e rimane ferma per mesi. Il giorno dopo avrebbe dovuto dare il suo primo esame alla Facoltà di architettura.
Invece questo evento le fece trovare il coraggio di dire alla sua bella famiglia trevigiana doc che la sua strada non era a Treviso, come da generazioni tutti in casa Cescon avevano fatto. Ma a teatro.

Pubblicata su ON di settembre 2010

E dopo due anni era sul palco, come protagonista in uno spettacolo di Luca Ronconi. Segno del destino? Dopo il successo al teatro è passata al cinema e ora
porta avanti entrambe le carriere. Ma ecco per esteso il suo racconto.

Lei ha debuttato al cinema nel 2004 con Matteo Garrone, nel film Primo Amore: un’interpretazione impegnativa, in cui è dovuta dimagrire da 60 a 45 kg in quattro mesi. Come è avvenuto l’incontro col regista? Avevo 28 anni, venivo da dieci anni di palcoscenico e stavo recitando un testo “off off”, Bedbound, in un teatrino romano, per il quale ho vinto il premio Ubu e il premio Eleonora Duse. Facevo la parte di una ragazza poliomelitica grave, ero tutta storta, il corpo molto segnato. Venne a vedermi Matteo Garrone, al quale piacque lo spettacolo, tanto che venne in camerino per conoscermi. Per combinazione io avevo visto due dei suoi primi film, Estate romana e Terre di mezzo. Ci fu un scambio di stima reciproca. Dopo un anno e mezzo mi chiamò chiedendomi “quanto pesi”? Risposi: circa 60 kg. E lui: “ah no, la mia protagonista è molto magra”. Tre giorni dopo mi richiamò: “Ci ho pensato: ti va di fare un film dove devi dimagrire un bel po’? E io dissi “ci sto”. Fu per me un’esperienza unica.

Qui conobbe anche Vitaliano Trevisan, scrittore e attore vicentino, che ha ritrovato sul set diretto da Alex Infascelli, Nel nome del male. Come si è preparata per questo ruolo che parla di satanismo? Nel film sono la madre di questo personaggio che sparisce. Quando ho letto la prima volta la sceneggiatura ci rimasi male, perché non capivo come mai la madre non potesse fare come il padre, partire alla ricerca di questo figlio scomparso. Col tempo, anche con la mia maternità, ho capito che la cosa più difficile ai nostri giorni è quella di fermarsi un attimo e osservare i nostri figli, per come sono. E questa è una madre che non si ferma a osservare.

Come è iniziata la sua carriera a teatro? Alle superiori ho frequentato dei corsi di teatro che mi piacevano tantissimo, ma non avrei mai pensato di farne una professione. Dopo l’incidente che ebbi al primo anno di università, e nei mesi che ci sono voluti per rimettermi in piedi, l’anima, o l’inconscio, chiamatela come volete, credo che abbia lavorato tanto. Sentendomi una sopravvissuta, ho detto ai miei genitori che volevo fare teatro. Dopo due anni e mezzo sono salita sul palco come protagonista in uno spettacolo di Ronconi. Nella vita spesso non ti accorgi di essere seduto. I lutti, o gli incidenti, ti aprono gli occhi. E se tornassi indietro, rifarei l’incidente: è stato lo choc che mi
ha dato il coraggio di cambiare.

Quando è arrivato il successo, quale regalo si è fatta? La mia prima entrata maggiore è stata per Primo Amore.
Con quei soldi mi sono prodotta Giulietta (degli Spiriti), l’ultimo spettacolo che ho fatto con Valter Malosti, che per me ha significato un grande punto di svolta. Ancora oggi, comunque, molto di quello che guadagno va a finanziare gli spettacoli a teatro.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’intervista a Michela Cescon pubblicata su ON, il magazine della FastwebTv: ON_sett_CESCON

Carlo Cracco, chef a km zero

16 Gen

Superyacht 2009 - foto @Giovanni Malgarini

Con un menù raffinato e fantasioso come solo lui sa inventare, Carlo Cracco ha dimostrato che si può organizzare una cena a basse emissioni tutt’altro che povera. L’occasione è stata offerta da BMW lo scorso ottobre, la scena è quella milanese e l’ospite d’eccezione il regista Francis Ford Coppola, in città per il World Business Forum. La Casa automobilistica tedesca, molto impegnata sul fronte delle basse emissioni di CO2, vuole una cena di gala low emission. Dopo breve riflessione risulta evidente che lo chef migliore è certamente Cracco, non tanto per le formali due stelle Michelin di cui si fregia il Ristorante Cracco, che pur certificano l’altissima qualità della sua cucina, quanto per la sua innata e caratteristica capacità inventiva nel combinare gli ingredienti.

Intanto va detto che una cena a impatto zero, come è stata battezzata, significa che le materie prime devono provenire da una distanza inferiore ai 50 km. Facile, per chi cucina in zone limitrofe ai campi. Considerando però che il Ristorante Cracco si trova a due passi dal Duomo di Milano, fare la spesa da produttori che si trovino a meno di 50 km ha richiesto un po’ di ricerca. Lo chef di uno tra i 50 migliori ristoranti al mondo ha selezionato tra varie cascine la Gaggioli, nella periferia Sud milanese, e qui ha trovato praticamente tutti gli ingredienti per la sua cena. Iniziata con Crema di zucca con Raspadura (un formaggio) e Sfoglie di polenta croccante con crescenza alle erbe e terminata con un Semifreddo al mascarpone con pere e cachi, il tutto innaffiato con vini dell’azienda agricola Nettare dei Santi di San Colombano al Lambro, anche lei a circa 47 km dal ristorante. Un capolavoro che ha stupito i commensali. La cucina di Carlo Cracco, 44enne originario di Vicenza, rivisita i piatti tradizionali milanesi, e non solo, proponendoli in una chiave contemporanea, combinando i sapori e giocando sui contrasti. Invitato al Festival della Mente di Sarzana l’aveva definita “cucina cerebrale”, nel senso che si gusta con il palato, ma anche con l’immaginazione.

È una definizione che la soddisfa ancora? In realtà dare definizioni della cucina è molto limitante. La cucina si differenzia soprattutto per la qualità. Quando è di grande qualità, è di qualità, punto. Quando non lo è, è una “presa per i fornelli”.

Il suo è un lavoro da privilegiato? Questo ristorante ha aperto nel 2001 ma io l’ho acquistato nel 2007 e ora è tutto mio. Qui lavorano 25 persone e lo considero un lavoro da privilegiati, sì. Perché sei in mezzo al cibo, al vino e a tutto quello che c’è di più buono al mondo. Poi però bisogna anche lavorare. Bisogna pensare a molte cose. Non c’è solo la spesa, ma devi avere ottimi camerieri, sapere le lingue… è un lavoro che non finisce mai.

Quante ore al giorno lavora? Non lo so, non ho mai fatto il conto (ride). Diciamo che il ristorante chiude dalle 2 di notte fino alle 8. Nel resto del giorno è sempre in attività.

Mangiare nel suo ristorante è un lusso? La nostra cucina ha dei prezzi che sono proporzionati al costo della vita milanese. Se paragoniamo Milano a grandi città come Londra o Parigi (anche se Milano è più piccola), come livello di prezzo noi siamo molto meno cari rispetto a quanto costano i grandi ristoranti di Londra, dove hanno prezzi che sono il doppio rispetto a noi.

Che effetto ha la crisi sulla vostra attività? Alla sera i nostri 50/60 posti sono sempre occupati. A pranzo, invece, in questo periodo c’è un po’ di calma. La crisi c’è e bisogna fare attenzione, non sottovalutarla. Però la trovo un ottimo momento per decidere del proprio futuro e per darsi degli obiettivi ancora più ambiziosi, perché la crisi rimette tutto in discussione. Ho due o tre idee in mente che non posso ancora svelare, progetti futuri che si sono sviluppati proprio in questo periodo.

In Italia o all’estero? All’estero credo, perché è un bel mercato. Però a me piace Milano e vorrei rimanere qui. Milano è sempre stata il mio sogno. Non so spiegare perché, ho sempre visto Milano come una città dove si può lavorare, dove ci si può affermare, dove ti offrono tante possibilità.

Che cos’è il vero lusso, in campo gastronomico? Il lusso è poter avere la possibilità di scegliere di avere cuochi speciali, che sanno realizzare una cucina originale legata al proprio carattere, alla propria esperienza, alla propria formazione, che cucinano per te. La materia prima incide, ma non così tanto. È il fattore umano che fa la differenza. Considero ogni mio collaboratore come un artigiano. Perché costa il lavoro dell’artigiano? Perché è unico, fa 10 pezzi, 15 pezzi, non si sa, perché non lo sa neanche lui, quindi ovviamente quei pezzi hanno un valore molto alto.

E a cosa non sa rinunciare Carlo Cracco? Al viaggio, perché è la più grande forma di rigenerazione mentale e anche del corpo. Quest’anno, per esempio, sono stato per la prima volta in Australia. Un altro “lusso” che mi concedo è il cibo. Nel senso che quando vado in giro e vedo qualcosa che mi piace la compro, l’assaggio. Soprattutto il vino perché, da buon veneto, l’adoro. In Australia, per esempio, ho trovato un sale fantastico, delle conchiglie incredibili, rare anche là. E poi una burrata eccezionale, fatta da italiani emigrati lì tantissimi anni fa e che la fanno proprio bene.

Cosa pensa dei suoi illustri colleghi che sono stati suoi maestri, Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse, Alain Senderens e Ferran Adrià? Ho cominciato con Marchesi e forse lui è quello che mi porto dentro di più, anche se lui è poi cambiato moltissimo. I francesi Ducasse e Senderens mi hanno dato la parte tecnica e di formazione che mi mancava, mentre di Ferran Adrià ammiro il fatto che ha rivoluzionato il modo di fare cucina. Ha proprio cambiato il mondo.

Nella rubrica “Fame Chimica” del programma Victor Victoria, che va in onda su La 7, l’abbiamo vista mangiare pavesini con il lardo e panettone con il gorgonzola… Guardi che il panettone col gorgonzola non è male.

Mi prende in giro… È buono, davvero. A me sembrava una delle ricette meno forti. L’idea è quella di scrivere ricette che possano essere realizzate in tempi rapidissimi quando si torna a casa, magari tardi, e si ha una fame nera. Ci si deve arrangiare con quello che si trova in frigo o negli armadietti. In questa condizione, sono gli abbinamenti che fanno la differenza. Il gorgonzola è verde e richiama il dolce. C’è la frutta secca e quindi il panettone col gorgonzola ci sta. So che sembra strano, ma io sono abituato a mischiare: in cucina magari capita che debba assaggiare un primo, poi provo un dessert, quindi mi chiedono di sentire se un formaggio è buono, nel giro di qualche minuto. Ci vuole apertura mentale, è solo questione di abitudine.

Chissà perché, detto da lui, vien quasi voglia di provarci.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’intervista a Carlo Cracco pubblicata su Superyacht del 2009 vedi qua: SuperYacht09_CARLO CRACCO

Centro stile Mercedes-Benz Advanced Design Italia – Como

16 Gen

Mercedes-Benz Advanced Design Center di Como - Foto @ Alessandro Bianchi

Era il 1886 quando Karl Benz presentò quella che è considerata la prima automobile al mondo: un veicolo in realtà a tre ruote, ma con un motore a benzina quattro tempi le cui linee per la prima volta si distanziavano in maniera decisa dalle carrozze. Per questo, occuparsi di design in casa Mercedes-Benz significa guardare al futuro, ma senza poter ignorare questa lunga, importante e a volte anche ingombrante tradizione. Una Mercedes, insomma, deve sempre essere una Mercedes. Perche la sua è la storia più lunga tra le Case automobilistiche. E perché un cliente Mercedes se lo aspetta. Quindi, si può dire che finora l’evoluzione del suo design sia stata una concatenazione di piccoli passi, più che un diagramma con dei picchi che indicano grosse rivoluzioni stilistiche. Infatti nello stile di un suo modello rimane sempre riconoscibile il patrimonio genetico: linee nette e semplicità di forma, che via via si uniscono a nuovi elementi che ne migliorano costantemente l’aspetto, senza stravolgerlo.

Nel rispetto di questo Dna, comunque, la Casa di Stoccarda si dimostra molto dinamica e ha piazzato in giro per il mondo ben tre centri di Advanced design, che si aggiungono al centro stile della casa madre, che si trova a Sindelfingen, e al quinto in costruzione a Pechino, Cina. Delle antenne che studiano dove andrà il design nei prossimi anni, cercando di captare in ogni settore le tendenze in atto e quelle prevedibili. I tre studi di advanced design attuali si trovano ai tre angoli del mondo: uno in California, a Carlsbad, uno a Yokohama, in Giappone, e il terzo proprio in Italia, nel pieno centro di Como. In una villa di fine Settecento, Villa Salazar, a due passi da Villa Olmo, con vista sul lago, palme in giardino e soffitti affrescati. L’eleganza del passato che si sposa con la verve dell’attività proiettata nel futuro che vi si svolge all’interno.

pubblicata su Autocar luglio/agosto 2010 - foto @Alessandro Bianchi

Autocar è stato accolto da Michele Jauch-Paganetti, General Manager del Mercedes-Benz Advanced Design Italia, nato a Locarno, dieci anni passati in Volkswagen e altrettanti in Mercedes. Non male per un 42enne che parla correntemente cinque lingue (almeno tante sono quelle che abbiamo sentito parlare durante l’intervista, n.d.r.): italiano, francese, inglese, tedesco e spagnolo. E che si presenta sorridente e in maniche di camicia, vista la stagione. Il che autorizza anche gli altri del gruppo a sentirsi liberi di esprimersi come meglio credono, variando da camicia e pantaloni lunghi a maglietta, bermuda e infradito. A seconda dell’età e della nazionalità.

I 17 dipendenti più la decina di collaboratori, ben distribuiti tra uomini e donne, hanno mediamente 30 anni, anche se la stagista più giovane, una ragazza tedesca, ne ha soli 21.

Michele Jauch Paganetti - Foto @ Alessandro Bianchi

Di cosa vi occupate qui, esattamente?

M.J-P: Siamo l’unico studio satellite a occuparci esclusivamente degli interni, fin dal 1998, l’anno della nostra fondazione. Questo motiva anche la scelta di questa location, vicina alle industrie del mobile e della moda del Nord Italia, ma anche alla cultura del bello che trova espressione nell’arte e nell’architettura italiane, che sono per noi grandi fonti d’ispirazione.

Seguite solo i progetti delle auto in produzione, oppure anche dei concept? Compatibilmente con gli impegni dello studio, cerchiamo di dare un apporto creativo per ognuno dei nuovi modelli che Stoccarda ha in programma. Parallelamente però sviluppiamo anche progetti più complessi sulle show car, sempre e solo per quanto riguarda gli interni, che durano anche un anno.

Quali sono le fasi di progettazione per un modello in produzione e come avvengono i rapporti con la Casa madre? Da Stoccarda arriva la comunicazione delle auto in fase di restyling. Il nostro studio decide di dare il suo contributo presentando un progetto nel giro di due mesi. Noi siamo gli unici tra i centri satellite nel mondo a occuparci degli interni, ma siamo in concorrenza con Stoccarda stessa, il che ci dà più stimoli per fare del nostro meglio. Se la nostra idea viene accettata, il progetto viene finanziato e poi viene deciso il kick off, ovvero il momento in cui si incontrano varie figure, dai designer agli ingegneri, dagli uomini del marketing ai vertici aziendali, per far emergere tutte le idee possibili immaginabili intorno a quel progetto.

Per le show car invece come avviene il processo? Mentre per le auto di serie non si possono fare rivoluzioni, ma solo evoluzioni, nelle show car possiamo spingerci un po’ oltre, per cercare di ispirare i nostri colleghi in Germania su quelle che potrebbero essere le nuove idee da introdurre nel futuro. Ci sono periodi in cui lo stile predilige linee rigide, dure, tese, poi a cicli si passa al morbido, alle linee curve. Il segreto del successo è arrivare con la proposta giusta al momento giusto. Questo avviene grazie all’esperienza maturata negli anni e rimanendo sempre in contatto con Stoccarda, per stare al passo con le loro esigenze.

Con la F800 Style avete stupito per la carica innovativa, infatti. La F800 rappresenta il presente attualissimo: così com’è, non può essere messa in produzione domani. Però contiene tante idee che la Casa è seriamente intenzionata a portare in produzione. Forse è arrivato il momento per fare un passo leggermente più lungo di quelli fatti finora. Forse perché finora avevamo fatto solo dei passettini.

Quanto c’è ancora di manuale nel vostro lavoro e quanto si realizza invece sul computer? Si inizia sempre prima a disegnare a mano. Ci piace sempre la manualità del lavoro: il digitale è bello, ma bisogna saperlo utilizzare e introdurlo quando è il momento giusto. Una volta che i disegni sono fatti, si passa alla creazione dei rendering, che consentono di definire tutti i dettagli del modello da realizzare, per far sì che chi decide, in Germania, abbia un’idea chiara di come verrà il risultato finale. Una volta scelto il modello in due dimensioni, viene realizzato quello in 3 D, in scala 1:1: lavoriamo molto con il clay, la plastilina, e i sedili dei nostri progetti sono come quelli veri, schiumati e sellati da professionisti, perché il modo migliore per capire se un sedile è comodo, è sedendocisi sopra.

Lo scorso mese di maggio è nato un nuovo marchio: Mercedes-Benz Style. Ci spiega di cosa si tratta? Pensiamo di poter offrire il nostro know how in materia di design anche al di fuori del settore automotive. Però non intendiamo rubare il lavoro ai bravi architetti e designer nostri concorrenti: noi veniamo dal mondo dell’automobile e il nostro scopo è quello di esportare il know how automotive, che nel mondo del design è il più avanzato, in altri settori, ma sempre legati principalmente ai trasporti. D’altronde, forse non tutti sanno che il primo motore che Daimler aveva costruito è stato montato su una barca, non su un’automobile. E che la stella a tre punte del marchio Mercedes significa cielo, mare e terra, i tre settori per cui inizialmente l’azienda costruiva motori.

Quindi stiamo entrando nel mondo dell’aeronautica, come già abbiamo fatto con l’elicottero Eurocopter Ec 145, e della nautica. Ma anche del mobile, anche se su questo tema non posso specificare nulla perché si tratta di progetti ancora in fase di definizione.

Dove andrà il design Mercedes dei prossimi anni? Per i progetti in serie è molto importante seguire le indicazioni del marketing. Per esempio, una cosa che viene spesso richiesta è quella di abbassare l’età media dei nostri clienti, perché chi compra Mercedes ha generalmente una certa età e un certo prestigio sociale raggiunto. Noi come designer, insieme a tutto il nostro dipartimento, cerchiamo di intuire quali sono i trend e dobbiamo capire se possono avere un futuro, oppure se saranno solo mode passeggere. La nostra filosofia progettuale nasce dal sapere prevedere quale strada prenderà il design e nel saper sfruttare tutti gli input che provengono dal mondo esterno nella maniera migliore, sempre tenendo presente che il marchio ha i suoi valori.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Per vedere l’articolo sul Centro di Advanced Design Mercedes di Como pubblicato su Autocar di luglio/agosto 2010: Autocar lugAgo 2010_centro stile Mercedes

Intervista a Luca Zingaretti

16 Gen

pubblicata su ON - dicembre 2010

E’ uno dei volti più amati dal pubblico televisivo e apprezzati da quello cinematografico, che lo ricorda per esempio nel ruolo del prete antimafia in Alla luce del sole e dello spacciatore disabile in La nostra vita. Di lui i fan, e le accanite fan, sanno tutto. In questa intervista, però, lo scopriremo molto ironico, profondo d’animo e… giardiniere.
In questo momento è sul set? Sto lavorando a molte cose insieme. Ma mi sono preso un semestre di riflessione dopo tanti anni pienissimi in cui avevo poco tempo per me. Credo sia bene per un attore fermarsi ogni tanto e ascoltare quello che gli succede intorno. Una citazione che le torna spesso in mente? “Le aquile volano sole, i corvi volano in schiera”. È una battuta che Visconti fa dire a Helmut Berger dal professor Burt Lancaster. Mi piace perché è un invito a non massificarsi, a non cercare a tutti i costi di conformarsi alla maggioranza, e a riflettere sulle proprie scelte, costi quel che costi, anche la solitudine.

Cosa ricorda di Perlasca. Un eroe italiano? La storia di Perlasca era così straordinaria da sembrare non vera e la sceneggiatura era scritta da Rulli e Petraglia, due talenti unici. Incontrare le persone che erano state salvate da Perlasca, parlare con chi lo aveva intimamente conosciuto, è stata un’esperienza umana e professionale incredibile.
Qualche anno fa dichiarò “Mi piacciono valori come la patria, la bandiera, l’inno”. Pensa che oggi siano in declino? Credo di sì. Quando vado all’estero mi fa rabbia sentire come gli stranieri siano orgogliosi delle loro origini, della loro appartenenza a una nazione. Noi invece… Anche quelli che si riempiono e si riempivano la bocca con
queste parole si sono poi dimostrati i meno attenti ai valori fondamentali a cui si richiamavano. Ma anche per questo
Patria, bandiera, inno, e parole come identità e appartenenza, mi piacciono di più: non bisogna credere alle cose
perché sono di “moda”, ma pensare con la propria testa e affermare le idee in cui si crede anche se non tutti sono d’accordo.

Nel suo ultimo film, Noi Credevamo di Mario Martone (uscito il 12 novembre scorso), interpreta lo statista Francesco Crispi. Cosa ha scoperto di lui? Mi sono dovuto documentare su un periodo storico che conoscevo appena. A scuola il Risorgimento viene affrontato sempre male. Studiando, ne ho scoperto l’importanza per interpretare il presente: molti dei mali e dei problemi che ci affliggono oggi originano da questioni che, non risolte allora, ci portiamo ancora dietro. Anche Crispi è un prototipo del politico italiano: ambiguo, invischiato in vicende poco chiare, trasformista e spregiudicato. Ho cercato di rendere questo aspetto di “liquidità” del personaggio.
Digitando su You Tube “Luca Zingaretti”, dei primi quattro video che compaiono, tre riguardano lei come sex symbol. Cosa ne pensa? Che è una ficata! Ma non è una questione di vanità, è che mi piace pensare che questo significhi aver conquistato il pubblico femminile. C’è poco da fare: le donne sono più intelligenti e sensibili. Loro
prima di vedere e ascoltare,“sentono” le cose e le persone. Non le puoi fregare! Il pubblico femminile è molto più attento, esigente, competente e si fa conquistare con molta più difficoltà. Una volta però che lo hai preso, non ti tradisce. Se non lo tradisci tu, ti resta vicino.

Di quale regista/i non perde un film? Sono molto contento di come stia andando il cinema italiano. All’estero, morto Kubrick, il più grande di tutti, il migliore per me resta Milos Forman.

copertina di ON - dicembre 2010

Dove comprerebbe casa domani? A Parigi, città meravigliosa, e Barcellona, perché è altrettanto meravigliosa con in più il mare.

In molte interviste si definisce un tipo istintivo, a volte collerico. Come trova, invece, il relax? Sono una persona normalissima, solo che ogni tanto mi inc… Mi piacciono tante cose: andare a vela, giocare a pallone, leggere, scrivere, provare a disegnare, conoscere la gente. Ultimamente ho scoperto una cosa che mi dà una pace interiore incredibile: occuparmi delle piante. L’avevo sempre considerato una perdita di tempo, poi ho provato a Pantelleria a potare dei piccoli ulivi che avevo piantato qualche anno prima: è stata una grande scoperta.
Il più bel complimento? Se fatti con sincerità, fanno tutti piacere. Per me i più significativi, però, sono quelli che vengono dalle persone delle troupe. È gente che passa la vita sui set e ne vede di tutti i colori. Mi ricordo quello di un assistente ai fuochi (è la persona che fa sì che le cose filmate restino a fuoco). A un certo punto il regista dette lo stop perché il mio volto in primo piano appariva sfocato. Si voltò a guardare l’assistente ai fuochi e lui di rimando: “Ahò, e che ve devo dì, me so distratto! Me so messo a sentì che stava a dì!”.

Articolo scritto da: Samuela Urbini
Clicca qui per vedere l’intervista a Luca Zingaretti pubblicata su ON di dicembre 2010: ON dicembre_Zingaretti
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