Come ogni sostanza di cui si abusa, anche il sale se assunto in dosi eccessive diventa pericoloso. Lo sostengono ricerche internazionali che lo vedono come causa dell’aumento della pressione arteriosa (ipertensione), con un conseguente aumento del rischio che insorgano patologie gravi come ictus e infarti. Un consumo eccessivo di sale influisce sul metabolismo delle ossa ed è anche correlato al rischio di cancro allo stomaco, naso-faringe e gola, come confermato dalle linee guida dell’American Cancer Society, aggiornate ogni 5 anni e pubblicate a inizio 2012. Soprattutto nelle persone predisposte. «Il ruolo causale tra l’abuso di sale e le malattie cardiovascolari, in primis l’ipertensione, ma anche l’ictus cerebrale e l’infarto, è ampiamente documentato», conferma Pasquale Strazzullo, coordinatore del Gruppo di lavoro intersocietario per la riduzione del consumo di sale (Gircsi) in Italia e professore ordinario di Medicina interna dell’Università Federico II di Napoli. L’Istituto Superiore di Sanità afferma che diminuendo il consumo di sale a meno di 5 grammi al giorno, cioè circa la metà di quanto ne assumiamo oggi in media, si potrebbe ridurre la pressione come se fossimo dimagriti di 10 kg o se facessimo 30 minuti al giorno di camminata a passo sostenuto. Uno degli studi più completi in atto è quello del progetto Minisal-Gircsi (Gruppo di lavoro intersocietario per la riduzione del consumo di sale in Italia), finanziato dal Ministero della Salute, che sta raccogliendo dati in 15 regioni italiane su 1519 uomini e 1450 donne di età tra i 35 e i 79 anni per valutare il consumo medio giornaliero di sodio (presente nel sale), potassio e iodio pro-capite in un campione rappresentativo della popolazione italiana. Dai dati preliminari di questa ricerca pubblicati di recente dal Gircsi in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità è emerso che gli italiani assumono il doppio della quantità massima di sale raccomandata ogni giorno.
Guadagnare salute
I risultati fin qui riscontrati sono in linea con quelli di numerosi Paesi industrializzati: molti hanno già in atto programmi di riduzione del consumo di sale, come il caso emblematico della Finlandia in cui è stato ridotto il consumo medio giornaliero da 14 grammi a circa 8 e mezzo (in 35 anni), con il risultato di aver ridotto l’incidenza di ictus dell’80%. E l’Italia non è rimasta indietro: il Ministero della Salute ha siglato un accordo nel 2009 con le principali associazioni della panificazione artigianale e industriale per una progressiva riduzione del contenuto di sale nel pane (15% in meno in 2 anni, entro il 2011), poiché questo alimento è di solito presente sulla sulla tavola degli italiani tutti i giorni e dunque rappresenta una delle principali fonti di assunzione. Quindi in panetteria troviamo già il pane con meno sale? Fa il punto della situazione Daniela Galeone, dirigente medico del Ministero della Salute e referente di Guadagnare salute, un programma del Ministero finalizzato alla prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili: «Gli accordi nazionali sono recepiti presso le sedi regionali e provinciali delle Associazioni, che devono farsi carico di coinvolgere i singoli panificatori, e si parla di oltre 25.000 esercizi in tutta Italia. Non era pensabile, dunque, un’adesione di massa in tempi rapidi, ma alcune Regioni, in particolare la Lombardia e l’Emilia-Romagna (Asl di Bologna) stanno implementando a livello locale i protocolli, lavorando con le sedi locali delle Associazioni». Sul sito Regione.lombardia.it, per esempio, si trova l’elenco dei panificatori aderenti. E alcuni pani industriali (tra cui alcuni a marchio Coop, Barilla e di altre aziende) sono già in commercio e riportano sulla confezione il logo Guadagnare salute (con il cuore che ride).
Sane abitudini da recuperare
A parte quello che aggiungiamo ai nostri piatti, di cui possiamo controllare direttamente le dosi, chi volesse diminuire l’apporto di sale deve fare attenzione ai cibi già pronti: «Circa i due terzi del sale che introduciamo nella nostra alimentazione si trova nei prodotti trasformati», aggiunge Pasquale Strazzullo. Come pane, prodotti da forno (biscotti, crackers, grissini, ma anche merendine, cornetti e cereali da prima colazione), seguiti da insaccati e formaggi, patatine fritte o pesci conservati come il tonno. «L’obiettivo più importante è dunque quello di ottenere dall’industria alimentare una riduzione dell’utilizzo di sale». Secondo l’Inran, infatti, più della metà (54%) del sale che ingeriamo è contenuto nei cibi conservati e precotti, quello presente nei cibi freschi è molto meno (circa il 10%) e quello aggiunto quando si cucina o in tavola è circa il 36%. Altre stime della Commissione Europea, invece, asseriscono che il sale presente nei cibi industriali o consumati fuori casa arriva a più del 75% e quello aggiunto nelle preparazioni domestiche è solo il 10% circa. Insomma: più cuciniamo noi il cibo che mangiamo, più siamo sicuri di riuscire a controllare la quantità di sale (e non solo) che vogliamo ingerire.
Senza sale non vuol dire senza sapore
Al sapore del sale siamo stati abituati fin da bambini, quindi diminuire le dosi vuol dire passare attraverso un periodo di transizione in cui ci sembrerà di mangiare cibi insipidi. C’è una buona notizia, però: il palato si abitua! Piano piano i nostri piatti ci sembreranno avere il giusto gusto, anzi, riscopriremo l’autentico sapore dei cibi, che esiste, ma che il sale appiattisce. L’importante è farlo gradualmente. Se no ci si infligge un inutile supplizio che con ogni probabilità farà fallire nel proprio intento. I cibi si possono insaporire con erbe e spezie, di cui anche la nostra cucina è ricca. Via libera a basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, origano, maggiorana, peperoncino, noce moscata e così via, nonché all’aceto e al succo di limone, alleati preziosi in cucina. Da usare, ma con parsimonia, invece, i dadi da brodo, la senape, la salsa di soia e il ketchup, anch’essi ricchi di sale. «Anche i medici di medicina generale e i pediatri sono al fianco del Ministero della Salute per informare ed educare la popolazione», ha aggiunto la dottoressa Daniela Galeone. «Importantissimo è, per esempio, educare i genitori a non aggiungere sale alle pappe dei bambini al momento del divezzamento».
Un mondo di sale
Il sale che comunemente usiamo, fino o grosso, è sale che subisce un processo di raffinazione che lo porta al suo caratteristico colore bianco (un po’ come lo zucchero), ma che lo priva della ricchezza di oligominerali che il mare gli ha donato, salvando solo il cloro e il sodio. Al sale bianco si aggiungono inoltre additivi anti-igroscopici, perché non formi i grumi con l’umidità, e in alcuni casi lo iodio, importante perché anche in Italia esistono casi di gozzo, malattia carenziale per contrastare la quale gli endocrinologi consigliano a tutti di utilizzare questo sale. Il sale naturale, o sale integrale, che non viene raffinato e si ottiene dall’evaporazione dell’acqua di mare e da un trattamento di lavaggio e purificazione non chimica, contiene iodio ma in quantità inferiori rispetto a quello del sale iodato artificialmente (dipende dalle zone di raccolta), quindi non è sufficiente per prevenire le carenze iodiche, come precisa il Ministero della Salute. In commercio si trova anche il sale dietetico, che contiene meno sodio, in quanto parte del cloruro di sodio è sostituito da cloruro di potassio, ma che è consigliato da alcuni medici solo agli ipertesi che non riescono a ridurre il consumo di sale. Se si va in un negozio gourmet, infine, si trovano infiniti tipi di sale, aromatizzati e di tutti i colori, che rispondono soprattutto a esigenze commerciali. Il più famoso di tutti forse è il sale rosa dell’Himalaya, che è integrale e conserva una ricchezza di oligoelementi superiore a qualsiasi altro. Ma se teniamo presente la regola aurea su cui sono d’accordo cardiologi ed endocrinologi, “poco sale, ma iodato”, è evidente che i sali, anche i più pregiati, si possono usare, tenendo presente che dovendone mangiare meno possibile, non si può demandare solo a essi l’assunzione di questi preziosi oligoelementi.
Quanto sale nei cibi di tutti i giorni
La dose giornaliera di sale raccomandata è di massimo 5 grammi. Ed ecco quanto se ne trova in media in quello che mangiamo.
300 g pizza o focaccia circa 5 grammi di sale
50 g prosciutto crudo dolce 3,25 g
1 piatto pasta pronta surgelata 2,5 g
3 g di dado da brodo 1,25 g
100 g fagioli in scatola 1,25 g
50 g prosciutto cotto 0,35 g
50 g di parmigiano 0,875 g
1 fetta di pane circa 0,375 g
pane sciapo o toscano quasi 0
frutta e verdura quasi 0
Dati: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.Per Info:
http://sapermangiare.mobi/linee_guida.html
Ministero della Salute: www.salute.gov.it
Articolo scritto da: Samuela Urbini
Salve,
siamo un giornale online di arte e cultura chiamato Epì Paidèia, ci piace come scrivi e volevamo invitarti a collaborare con noi in forma occasionale inviandoci via email degli articoli scritti da te, li pubblicheremo a tuo nome inserendo il link del tuo blog.
Facci sapere, la nostra email è Epipaideia@hotmail.it