Il crono cinema di Nolan

28 Gen

Se c’è un regista che ha fatto del tempo un elemento cardine della sua cinematografia, quello è certamente Christopher Nolan, visionario autore di film che hanno segnato la storia del cinema, come Memento, Inception e Interstellar, nonché la trilogia del Cavaliere Oscuro, alias Batman. Un regista che è andato oltre gli avanti e indietro narrativi, tipici del cinema post moderno, come accade per esempio in Pulp Fiction di Tarantino, in cui lo spettatore deve ricostruire il filo narrativo. Nelle sue pellicole i piani temporali si intrecciano: in Memento partiamo dalla fine e ricostruiamo gli eventi a ritroso. In altri si viaggia avanti e indietro in un tempo che diventa elemento fluido, in cui lo spettatore a volte perde l’orientamento, anche per volontà del regista stesso. Come succede nel suo ultimo enigmatico film Tenet, che Andrea Chimento, ideatore e direttore responsabile del sito Longtake.it, docente di Istituzioni di Storia del Cinema presso l’Università Cattolica di Milano, ci aiuta a decifrare: “Tenet è l’undicesimo film di Nolan. Undici è un numero palindromo, letto in senso inverso mantiene immutato il significato. Anche Tenet è un titolo palindromo. È un film che va avanti nel tempo, poi a un certo punto torna indietro. Ci si smarrisce facilmente, ma Nolan ci invita anche un po’ a perderci. C’è una frase nel film in cui si dice ‘non cercare di comprenderlo. Vivilo, sentilo (feel it)’”. Ed è in questo lungometraggio che la classica battuta ‘sincronizziamo gli orologi’ assume un significato potenziato. Qui i segnatempo hanno infatti un ruolo narrativo: circa mezzora prima della fine i personaggi vanno a sincronizzarli ed è come se sincronizzassero le loro menti. In un caos temporale in cui si risale solo attraverso l’amore, l’altro grande tema del cinema di Nolan, sotteso in quasi tutti i suoi film, anche quelli di fantascienza. Gli orologi attraverso cui ricostruiamo meglio la trama sono modelli realizzati da Hamilton. Non orologi preesistenti che appaiono nelle scene, bensì segnatempo creati apposta all’interno della divisione di Swatch Group dedicata al mondo del cinema, in un processo di sviluppo tecnico, test di qualità e produzione durato quasi due anni.

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Quello tra il brand e Hollywood è un legame consolidato: dal lontano 1932, quando il primo orologio compare nel grande classico Shanghai Express, con Marlene Dietrich, sono passati oltre 80 anni, con più di 500 apparizioni (tra cui 2001 Odissea nello spazio, The Martian, Independence day – Rigenerazione e Man in Black). Nel corso del tempo si è passati da un semplice product placement a un vero e proprio ruolo all’interno della storia narrata. Anche grazie all’impegno del marchio che, conservando il suo spirito americano, ma con la precisione svizzera, collabora fianco a fianco degli scenografi e dei registi per realizzare orologi unici. Come nel caso di Christopher Nolan e del suo capo scenografo Nathan Crowley, con i quali Hamilton aveva già collaborato su un precedente film, Interstellar (2014), che rappresenta il punto di svolta per il ruolo dei segnatempo nel cinema. È qui che per la prima volta gli orologi hanno un significato narrativo all’interno della trama. I due protagonisti, l’astronauta-padre Matthew McConaughey e la figlia dodicenne, Murph, promessa della matematica, comunicano attraverso due orologi identici, con cui il padre, dallo spazio, manda un messaggio in morse attraverso la lancetta dei secondi alla figlia, sulla Terra. E se “Nolan è il regista più importante nell’ambito del cinema contemporaneo per quanto riguarda la modellazione temporale”, come sottolinea Andrea Chimento, attraverso Tenet e il suo regista Nolan, Hamilton consolida il suo ruolo di “the movie brand”.

Christopher Nolan

Nato a Londra nel 1970, Christopher Nolan è un regista, sceneggiatore e produttore britannico ricercato, uno dei più apprezzati da critica e pubblico. Il suo primo film, Following, è del 1998, ma è con Memento, nel 2000, a budget molto basso ma rilievo molto alto, che la sua carriera si impenna. Arriva a dirigere Al Pacino nel successivo Insomnia e, tre anni più tardi, una trilogia importante, quella del Cavaliere Oscuro, che lo porterà ad avere incassi da record. Ama temi psicologici come la natura della memoria, l’identità personale, il confine tra la realtà e la sua percezione individuale, e lo fa attraverso sceneggiature studiate per anni e una narrazione non lineare, in cui le alternanze temporali sono sempre centrali, come in Inception, Interstellar e nell’ultimo nato, Tenet.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su Il Corriere della Sera – Orologi del dicembre 2020

Chopard e le miniere che brillano di giustizia

28 Gen

Un minatore che lavora ancora con tecniche di estrazione mineraria alluvionale, con il classico setaccio in mano per vagliare la sabbia aurifera. Un’immagine d’inizio Novecento che ricorda i primi estrattori del Klondike, quelli della famosa corsa all’oro di cui hanno raccontato scrittori e registi, tra cui Charlie Chaplin nel film La febbre dell’oro, capolavoro di poesia in cui un nullatenente che non ha altro cibo se non una zuppa fatta con le sue stesse scarpe, diventa milionario proprio grazie all’oro. Ma è proprio così che lavorano ancora oggi alcuni minatori artigianali in Colombia che Chopard, per una scelta etica, ha deciso di sostenere acquistandone il 100% della produzione. Parliamo della regione di El Chocò, una delle più ricche d’oro, ma anche delle più povere del Paese, in cui la manodopera, al 46% femminile, si avvale di tecniche di raccolta manuale e metodi privi di utilizzo di mercurio, a salvaguardia della biodiversità del territorio. Un metodo certamente non competitivo, ma ecosostenibile, che il brand sostenta ormai da anni e di cui questo è solo l’ultimo tassello in ordine di tempo. Proprio nel 2020 la manifattura svizzera ha stretto una nuova collaborazione con la Swiss Better Gold Association, grazie alla quale acquisterà l’oro dei Barequeros colombiani, i minatori d’oro artigianali, ai quali viene assicurato un prezzo di vendita competitivo e, in più, un premio da reinvestire nelle loro comunità, per migliorare condizioni di vita e di lavoro. Stessa cosa che accade già con altri piccole realtà della Bolivia, per promuovere i minatori d’oro responsabili che lavorano su piccola scala. In questo campo, Chopard è il primo produttore di gioielli e orologi di lusso al mondo ad aiutare le comunità minerarie a ottenere la certificazione Fairmined, che garantisce che l’oro sia estratto in maniera etica, rispettando i lavoratori e l’ambiente, e a fornire loro formazione, assistenza sociale e ambientale.

Una scelta possibile perché Chopard è una delle pochissime realtà che, nella manifattura di Ginevra, ha una fonderia interna. Al piano interrato si trova infatti questo luogo simile al laboratorio di un alchimista dove Paulo, l’artigiano specializzato nella fusione che lavora in azienda da quasi vent’anni, può creare le sfumature di colore desiderate. Voluta da Karl Scheufele, padre di Caroline e Karl Friedrich Scheufele, gli attuali Co-presidenti di Chopard, la fonderia fu creata nel 1978 per integrare e verticalizzare la produzione, a partire dalla fusione dell’oro. Questo ha consentito inoltre di controllare la filiera di approvvigionamento della materia prima, per anni difficilmente tracciabile. Una materia prima che, come le pietre preziose, è spesso legata a criminalità, illegalità e sfruttamento. Elemento che strideva con l’etica e la responsabilità della famiglia Scheufele, che da sette anni ha deciso di muoversi a passo deciso verso un lusso sostenibile.

Si chiama infatti The Journey to Sustainable Luxury il progetto pluriennale intrapreso nel 2013, in collaborazione con Eco-Age e la sua direttrice creativa Livia Firth, con i primi gioielli della Green Carpet Collection realizzati con oro fairmined e diamanti che rispettano la condotta del Responsible Jewellery Council, indossati la prima volta da una sfavillante Marion Cotillard sul red carpet di Cannes. Dal 2014 anche la Palma d’Oro di Cannes, by Chopard, è realizzata in oro fairmined, mentre nel 2014 a Basilea è stato presentato il primo segnatempo d’Alta Orologeria in oro responsabile al mondo, il L.U.C. Tourbillon QF Fairmined. Un anno più tardi, attraverso la partnership con la raffineria d’oro svizzera PX Précinox Sa, anche l’esportazione e la raffinazione dell’oro vengono sottoposte a rigidi controlli e hanno piena tracciabilità. Si arriva poi al 2018, l’anno del traguardo più importante: da allora tutta la filiera Chopard è al 100% in oro etico. “La sostenibilità è un obiettivo in movimento, è un viaggio che non finisce mai”, afferma Caroline Scheufele, co-presidente e direttrice artistica della manifattura. “Oggi più che mai deve rappresentare una priorità per proteggere le persone sul campo che, con il loro lavoro, rendono possibile la nostra attività”. Un approccio da pionieri che aiuta le comunità più povere del mondo e allo stesso tempo conferisce alla Maison una significativa differenziazione rispetto ai competitor. La coscienza ha un prezzo e Chopard è felice di pagarlo.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su Il Corriere della Sera – Orologi del dicembre 2020

Il design non è solo l’aspetto e la percezione: il design è come funziona

3 Dic

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“La mia idea di design? È un rapporto di sintesi e perfetto equilibrio, tra forma e funzione”, spiega l’architetto Bernardo Zuccon che, insieme alla sorella Martina, guida lo studio Zuccon International Project, fondato a Roma nel 1976 dai genitori, Gianni Zuccon e la moglie Paola Galeazzi. Attivo in ambiti diversi, è però nel settore della nautica che si distingue anche a livello internazionale, collaborando in modo costante con alcuni dei più importanti cantieri navali italiani, tra cui Ferretti Yachts, Custom Line, CRN e Picchiotti. “Ancora prima di iniziare a parlare di design, però, bisogna partire da quello che è il punto di partenza primordiale per qualsiasi esperienza progettuale: l’uomo. L’uomo è la creatura che vive fisicamente lo spazio e gli oggetti che noi designer creiamo e, al contempo, è anche il riferimento proporzionale ed ergonomico per garantire un equilibrio funzionale, fondamentale per parlare poi di design”.

Tiene fede

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a questo principio di base Heritage, il 45 metri che inaugura la collaborazione dello studio con Picchiotti Yachts, che “nasce dalla volontà di creare un ecosistema marino dove l’uomo è in grado d

i svolgere quell’attività che è l’obiettivo finale che ogni yacht designer deve avere chiaro in mente: vivere il mare”. Heritage infatti ha volumi interni generosi, si pensi che su tutto il ponte di coperta l’altezza è di tre metri, enfatizzati da un ampio uso del vetro che crea continuità tra gli interni e il mare. “A bordo il rapporto tra forma e funzione si sposta più verso la funzionalità”, aggiunge Zuccon. “Perché mantiene e approfondisce alcuni parametri della scansione volumetrica, staccandosi però dall’interpretazione in cui è la forma a comandare. Heritage non è un bellissimo involu

cro che impone i suoi limiti all’uomo, proprio perché siamo partiti dal concetto che è l’uomo a creare l’architettura della barca”. Heritage è un omaggio al più importante designer che ha lavorato con Picchiotti, Gerhard Gilgenast, e ne ripropone lo stile tipico, reinterpretato in chiave moderna. La sua peculiarità è la capacità di trasportare molti toys, due tender (una barca a vela e una a motore, di nove metri ciascuna) e due moto d’acqua, proprio come chiedono oggi molti armatori.

Guardando al passato, Zuccon ricorda con affetto ed emozione Custom Line Navetta 37, ilprimo progetto nato da una sua intuizione personale, la prima vera barca completamente figlia sua e di sua sorella Martina. Nel suo stile di design è affascinato dal concetto di ibridazione tipologica, che gli permette di lavorare su contaminazioni stilistiche e funzionali trasversali, che attingono non solo dal mondo della nautica, ma anche del design, dell’architettura e dell’automotive. “Sono convinto però che i progetti più belli siano quelli che ci aspettano domani. Per me e lo studio questo è un momento significativo, con l’avvio di nuove collaborazioni con Perini e Sanlorenzo. Ci troviamo come all’inizio di una nuova storia d’amore, quando tutto è meraviglioso e c’è grandissimo entusiasmo. Per Sanlorenzo progetteremo dalle imbarcazioni piccole in vetroresina a quelle più grandi in metallo; con Perini invece proporremo prodotti di grandi dimensioni, estremamente customizzati”. Uno sguardo al futuro in cui non mancherà mai il lavoro di ricerca, presenza appassionata e costante nel lavoro dell’architetto.

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design Teak issue del 2018

Creative minds: Francesco Paszkowski

12 Nov

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Sensibilità e capacità di ascolto dei bisogni del cliente, uniti a una profonda conoscenza di tutti i processi che contribuiscono alla nascita di uno yacht, sono alla base del successo di Francesco Paszkowski Design, lo studio fondato a Firenze nel 1990 dall’omonimo designer, che ha lavorato con i maggiori cantieri italiani e internazionali, tra cui le collaborazioni storiche con Baglietto, Heesen Yachts e Sanlorenzo. “In un contesto in rapida evoluzione, come quello della nautica, la propria esperienza non basta mai”, spiega Paszkowski. “La storia del cantiere, il lavoro di coloro che sono coinvolti nella costruzione della barca, dall’ordine al varo, una stretta comunicazione tra il reparto tecnico del costruttore, il proprietario e lo studio di design sono fondamentali nel processo di progettazione”.

Inizia a lavorare col padre, Giovanni, e con Pierluigi Spadolini, uno dei grandi maestri dell’architettura moderna e del design italiano e “nel 1986, quando ebbi l’opportunità di disegnare barche, il desiderio di esprimere me stesso era più forte di qualunque altra cosa”, ricorda il designer, nato a Milano, ma ormai radicato a Firenze. Da allora ha realizzato yacht plananti e disolocanti di serie, custom, in vetroresina e in alluminio, inizialmente solo come design esterno, ma già dal 1996 anche per gli interni, viste le crescenti richieste di progetti che includessero ogni aspetto.

Incarna questa filosofia progettuale a tutto tondo Custom Line 120, il primo yacht planante ideato per Custom Line, i cui principi guida richiesti dal cantiere erano due: creare un restyling della linea, mantenendo la continuità del marchio, e aumentare il contatto con il mare.

“Abbiamo voluto dare un profilo filante e potente allo scafo: linee tese corrono da poppa a prua dando vita a un’emozionante alternanza materica e cromatica di superfici strutturali chiare e vetrate scure”, dice il designer. “Un’innovazione sostanziale è la sovrastruttura rialzata rispetto alla coperta. Le finestrature laterali, cielo-terra, trasformano il salone in una terrazza panoramica che offre una vista ineguagliabile”, continua. “Le finestre laterali, leggermente ricurve, la scelta di eliminare la falchetta davanti al salone e nella suite armatoriale a prua enfatizzano la sensazione di essere ancora più vicini e a stretto contatto con l’acqua”.

Per gli interni, realizzati in collaborazione con Margherita Casprini, il layout si ispira ai codici dell’arredamento domestico di lusso: ne sono un esempio le colonne di sostegno, che includono sistemi d’illuminazione, audio e aria condizionata; o l’unico open space arricchito da tendaggi che dividono, senza separare in modo netto. Una grande vetrata separa il salone dal pozzetto, suddivisa in due sezioni che si aprono anche a ribalta, così da creare una grande area esterno-interno, concepita come una lounge rivestita in teak e arredata in stile con gli interni. Ed è stata data anche un’attenzione particolare alle aree esterne, da sempre un tratto peculiare del marchio. Sull’upper deck, l’area relax con vasca idromassaggio può essere riparata dal sole grazie a un bimini a scomparsa nell’hard top, sostenuto a poppa da due pali integrati alla sovrastruttura.

Ecco dunque che le nuove soluzioni tecniche e l’intero progetto delle linee esterne e interne sono strettamente legati fra loro come parti di un unico impianto architettonico, in cui forma e funzione sono perfettamente bilanciati. In puro stile Francesco Paszkowski Design.

 

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design Amethist issue – del 2017

Horacio Bosso: Truly unique

5 Nov

Argentino di nascita, ma di origini italiane, Horacio Bozzo è un designer e ingegnere navale cosmopolita che ha studiato a Buenos Aires, ha iniziato la sua carriera a Roma, per poi trasferirsi in uno studio di alto profilo a Fort Lauderdale, negli Usa. Dopo qualche anno, è proprio qui, nel 1996, che fonda il suo studio di ingegneria navale, Axis Group Yacht Design, che attualmente impiega 16 persone. Nel 2000 è poi tornato in Italia e qui ha dato vita a Horacio Bozzo Design, il suo brand che si occupa esclusivamente di design di esterni e interior layout di superyacht.

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“Mi piace che i miei yacht abbiano una forte personalità, ma che siano rappresentabili con poche linee, minimalisti”, sintetizza Bozzo. Nei modi gentili e pacati con cui ci racconta dei suoi progetti, si percepiscono una grande passione per il suo lavoro e una forte determinazione, che è il motore della sua brillante carriera che l’ha portato a lavorare con i più grandi cantieri internazionali, tra cui Lurssen, Fincantieri, Perini Navi, Benetti e Azimut, con progetti che vanno dai 40 ai 140 metri. “Fin da piccolo, quando ho capito che avrei voluto fare questo mestiere, ho pensato che l’unica maniera sarebbe stata prima studiare le barche, capire come sono fatti uno scafo, la struttura, gli impianti, per poi poter progettare le mie, innovando. Senza conoscere in profondità come è fatto uno yacht, non avrei avuto gli elementi per poter innovare, ma solo per emulare”.

Questa esigenza di creare progetti davvero unici lo ha portato ad avere uno stile personale che si distingue e che è evidente in uno dei suoi concept più recenti, Private Bay, un mega yacht di 123 metri realizzato insieme a Fincantieri Yachts. Con più di 1300 mq di spazi interni ed esterni, dislocati su sei ponti, in grado di accogliere 18 passeggeri e 31 persone d’equipaggio, Private Bay ha sia zone di privacy assoluta, come richiedono gli armatori di yacht come questi, sia spazi a diretto contatto con l’acqua e dedicati al divertimento, caratteristica molto più rara. “La poppa è unica: è un Open beach club di 160 mq, con piscina a livello del mare, pensata per un armatore magari con figli piccoli, che ha voglia di vivere il mare in maniera più informale, insieme agli amici. L’idea mi è venuta pensando a come vorrei io una barca così grande e insieme a Fincantieri Yachts abbiamo trovato la maniera di renderlo possibile”. Già, perché strutturalmente una poppa di questo tipo, molto larga, poneva dei problemi di stabilità importanti, che però la grande esperienza Fincantieri ha permesso di superare. “È come progettare una Formula 1: non è che sia impossibile da costruire, però devi andare dalla casa automobilistica in grado di saperlo fare”. Originale anche la veranda a poppa del ponte principale, che ricorda una conchiglia, protetta da vetri e molto riservata, visto che le scale per salire su questo ponte sono spostate nella parte anteriore a questa zona.

Visto l’interesse suscitato da Private Bay, è stata pensata anche una versione da 140 metri di questo megayacht e, nel frattempo, Bozzo e il suo team stanno lavorando su concept di grandi metrature, un 100 metri per cantieri del Nord Europa, su cui vige ancora riserbo, e un 50 metri per Benetti.

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design Jade Issue – del 2017

Creative Minds: Margherita Casprini

27 Ott

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Cresciuta respirando aria di architettura nello studio del padre, architetto a Firenze, quasi inevitabilmente Margherita Casprini sceglie la matita come prima amica e compagna di vita. Che non ha mai tradito, ma scelto e riscelto a ogni bivio che le si è presentato, superando il destino di figlia d’arte e abbracciando la libera professione “per seguire quello che desideravo veramente”, dopo aver insegnato per un breve periodo architettura d’interni a La Spezia.

Determinante è l’incontro con Francesco Paszkowski nel 2006. “Ho cominciato a collaborare con lo studio Paszkowski per gli interni, dando il mio contributo per la ricerca di nuovi materiali, una componente fondamentale nei progetti. Con il tempo il lavoro dello studio è aumentato e mi sono fatta coinvolgere. Con Paszkowski ho imparato a considerare il progetto come un corpo unico, anche se ho continuato a lavorare solo agli interni sotto la guida di Francesco”. Questo significa anche il décor, l’illuminazione, la progettazione di mobili e lampade custom, l’allestimento completo della barca “anche per oggetti di uso quotidiano a bordo, come piatti e asciugamani, bicchieri e cuscini, per mantenere anche in questo la coerenza del progetto”. La sfera d’intervento di Casprini si amplia giorno dopo giorno e i confini del mondo della nautica, il core business dello studio, vengono oltrepassati. Nascono oggetti e progetti di case. “A bordo di Papi du Papi, 50 metri costruito da Isa nel 2011, il décor creato era fondato su due sole essenze, unito a vetro e pelle, materiali che facevano da “contenitore” ai mobili custom e agli oggetti personali che l’armatore possedeva e desiderava avere a bordo. Dopo aver realizzato la sua barca, l’armatore ha affidato allo studio anche il progetto della sua casa. L’approccio è stato simile. Per il progetto della sua dimora, abbiamo lavorato su scelte architettoniche e definizione degli spazi, dove quinte in arredo creano i diversi ambienti senza separazioni nette. Come a bordo, la luce ha giocato un ruolo importante, mirato a esaltare il contrasto luci-ombre, creato dai materiali”. Anche in questo caso i mobili progettati per l’esterno “ricordano la forma di quelli all’interno per coerenza progettuale, come facciamo anche nelle barche quando ci occupiamo di interni ed esterni”. Nel suo lavoro Casprini é supportata dallo staff dello studio dove oggi lavorano designer di diverse nazionalità. “È stimolante lavorare in un ambiente così eterogeneo e so di essere una persona fortunata perché ho avuto l’opportunità di fare il lavoro che mi piace. Il contatto con il cliente e il controllo della produzione sono necessari per ottenere un risultato che esprima equilibrio e armonia, qualunque sia il gusto – classico, contemporaneo o minimalista – del committente. A volte può essere molto impegnativo, ma fondamentale. Lavorando con Paszkowski, che vanta una lunga esperienza, ho cercato di proporre le mie idee, ma anche di “rubargli il mestiere” e ho imparato che ascoltare e osservare sono indispensabili per affrontare un progetto che possa soddisfare i desideri del cliente. Abbiamo un confronto quotidiano costruttivo, soprattutto quando partiamo da posizioni diverse”. Sono numerosi i progetti affidati allo studio Paszkowski da privati e da cantieri, nella nautica e nel residenziale, ai quali Margherita Caprini collabora attualmente. Non ci sarà da stupirsi se lo studio dovesse un giorno pensare di creare una nuova struttura per lo sviluppo di prodotti di design destinati anche ad altri settori.

 

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design Amber issue – del 2017

Fincantieri Yachts

1 Mar

Non solo navi da crociera, offshore o militari. Forte dell’eccellenza tecnologica espressa in molti ambiti delle costruzioni navali, Fincantieri nel 2005 ha fondato una nuova business unit che si occupa specificamente della produzione di mega yacht dai 70 metri in su. Si chiama Fincantieri Yachts e ha l’obiettivo di affermarsi come leader tecnologico anche in questo segmento. “Fincantieri ha una storia molto importante di leadership tecnologica, presente in molte delle 7000 navi costruite, con un dna unico che combina eccellenza nella tecnologia, nell’ingegneria e nella capacità produttiva”, afferma Marco Francesco Mazzù, Head of Origination Strategies and Market Development di Fincantieri Yachts, che con passione ci fa entrare nel mondo di questi superyacht.

Il primo a essere costruito è stato Serene, lungo 134 metri e consegnato nel 2011: allora era il nono megayacht più grande del mondo e nel 2012 fu anche giudicato il migliore della sua categoria, vincendo il World Superyacht Award. Nel 2014 è stato varato il secondo, Ocean Victory, ancora più imponente, che con i suoi 140 metri è il più grande yacht mai costruito in Italia e, ad oggi, il nono più grande del mondo.

“Ci siamo posizionati da subito per competere con i migliori del segmento”, spiega Mazzù. “Per fare questo abbiamo messo insieme le competenze specifiche dello yachting, quelle tecnologiche e di gestione del luxury, facendo leva sulle migliori capacità presenti in azienda (per esempio i vari centri di eccellenza Fincantieri), e sul mercato”. La produzione dei MegaYacht avviene nella location storica di Muggiano, vicino a La Spezia, dove nascono tutti i prodotti a più alta complessità, come anche le navi militari più all’avanguardia: le fregate, i sottomarini, le portaerei.

La modalità principale con cui Fincantieri Yachts si propone sul mercato è di creare prodotti unici che rispondano a esigenze e richieste specifiche di armatori, che vogliono vedere realizzati i propri sogni.

A questa modalità, da qualche anno, Fincantieri Yachts ha affiancato uno scrupoloso processo di sviluppo di nuovi concept che fa sì che i megayacht che poi saranno proposti sul mercato non siano voli pindarici di puro design, ma yacht realizzabili, basati su tecnologia avanzata che serve per creare un luxury lifestyle unico e che consente di ottenere prodotti di bellezza assoluta, che vadano oltre la provocazione di design del momento.

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“Nella metodologia di product development, insieme al designer andiamo a immaginare lo stile di vita a bordo dei potenziali clienti. Una volta compreso questo, si sviluppa il concept: una combinazione di linee estetiche e di piano generale che riflette il lifestyle individuato. A questo uniamo un altro tassello fondamentale per noi, cioè gli elementi unici di tecnologia che fanno sempre parte dei nostri progetti”, continua Mazzù.

Il nuovissimo Sundance, per esempio, un 90 metri sviluppato da Steve Gresham (come Exterior Designer) e da Fiona Diamond (come Interior Designer), risponde all’esigenza di clienti che hanno un forte desiderio di vivere gli spazi all’aperto. Ecco dunque nascere una sorta di grande open, con un ampio sun deck all’interno del quale ci sono sia la piscina sia tutti gli altri elementi per dare il migliore livello di esperienza open air all’armatore.

Per clienti che invece amano spostarsi ed esplorare, Fc Swath 75, nato dalla matita di Andrea Vallicelli, è un concept di 75 metri di inizio 2015 ideato anche per chi soffre il mal di mare: ha una struttura tecnologica particolare che permette di avere lo yacht stabile anche in condizione di mare abbastanza mosso e può essere combinato con una propulsione con fuel cell, completamente green, tecnologia che Fincantieri utilizza già da 20 anni su alcuni sottomarini.

Nell’Ottantacinque, sviluppato con Pininfarina, il lifestyle è invece quello di un understated luxury, per persone che non hanno bisogno di dimostrare niente, perché già sono, con il desiderio di godersi la barca con famiglia e amici: ecco quindi la presenza di molti accessi al mare, una profusione di luce naturale e molta flessibilità nell’utilizzo degli spazi interni ed esterni.

“Sempre lo scorso settembre”, aggiunge Mazzù, “con lo studio H2 abbiamo realizzato il nostro entry point – Aura – un concept di 75 metri. L’idea alla base è semplice, ma difficile da realizzare. Dare all’interno di uno spazio limitato una serie di elementi che permettono una vivibilità tipica di barche di taglia superiore, da 80/90 metri. Molto ricca a livello di contenuti, ha un eliporto touch and go, terrazza e palestra panoramica, un’area dell’armatore molto ampia, sei cabine per ospiti, può portare un equipaggio di circa 20 persone e ha un tender garage che può ospitare un Aquariva, o piccoli sottomarini”. Tutti i concept delineano un’idea generale della struttura dello yacht, ma sono poi interamente personalizzabili dagli armatori, anche grazie alla capacità unica del team di ingegneria e dei partner di cui si avvale Fincantieri Yachts.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design – Silver issue

 

Creative Minds: Luca Dini

7 Feb

Un’icona può essere rinnovata

La firma di Luca Dini ha segnato lo stile di moltissimi yacht, avendo lavorato con i cantieri più famosi al mondo, come Benetti, Mondo Marine, Tecnomar, Admiral, Isa, Mariotti e Cantieri di Pisa. A 50 anni di età e dopo oltre 25 di attività in tutto il mondo, il designer fiorentino che lasciato il segno nel mondo nautico è ora alle prese con una sfida molto stimolante, ma di grande responsabilità: rinnovare la storica linea Akhir dei Cantieri di Pisa, che ha cambiato il corso della nautica da diporto. Inventata negli Anni 70 dal professore Pierluigi Spadolini, di cui Luca Dini è stato allievo, “è stata una barca rivoluzionaria, una specie di Stargate. Da quel momento in poi lo yacht design è diventato una vera realtà e ancora oggi vediamo molte cose riprese da essa”, dice Dini, emozionato nel ricordare quando, da ragazzino, appena entrato nello studio di Spadolini, la vide nascere. dini_pagina_1dini_pagina_2

Oggi che lo studio Luca Dini Design, nato a Firenze nel 1996, non si occupa più solo di progetti nautici, ma anche architettonici, ville residenziali e private, oltre che di aeroplani, lavorare su un’imbarcazione di questo tipo dà al designer un’ispirazione inedita, che sintetizza così: “Un’icona può essere rinnovata”. Perché qui non si tratta di disegnare qualcosa da zero, pensando a un’idea che sia unica, bensì di ridisegnare un modello che è già stato unico e ha segnato la storia del design nautico. Il che è decisamente più impegnativo.

Ma Dini ha una sensibilità particolare e un entusiasmo che lo contraddistinguono e la sua lunga esperienza in Italia e all’estero hanno reso questa impresa possibile. “La prima cosa che abbiamo fatto è stata mantenere gli stilemi che formano l’identità di questa linea, che però abbiamo aggiornato al 2020. La prova più importante che abbiamo centrato è che la barca fosse ancora riconoscibile da lontano, sua caratteristica peculiare. L’obiettivo era quello che hanno fatto la Mini, la 500, o la Porsche. Una Porsche degli Anni 70 o di oggi, è sempre una Porsche, tutti la riconoscono. Così abbiamo fatto noi: la linea esterna è quella su cui ci siamo maggiormente concentrati”.

Ma sul nuovo 42 metri dei Cantieri di Pisa sono state introdotte anche grandi novità: l’utilizzo dell’alluminio, in un cantiere che finora aveva lavorato solo con legno o vetroresina. Lo yacht è un semidislocante, non più planante, e per la prima volta il Cantiere avrà uno yacht con un secondo salone al ponte superiore e un ponte principale full beam a prua, dove è stata posizionata la cabina dell’armatore, con balconi ribaltabili, che quindi non si trova più sul lower deck, come in passato.

pub-to7cover_sLo stile Luca Dini Design si riconosce dalla costante ricerca, dal perfezionismo e dal gusto sempre sorprendente ma ricercato che lo caratterizzano. Così anche negli interni del nuovo Akhir, che saranno interamente personalizzati dall’armatore, ha inserito un particolare degno di nota: in onore alla moglie di Spadolini, Gianna Fagnoni, che inventò il teak sabbiato per i Cantieri di Pisa, un must per decine e decine di modelli, ha mantenuto questo materiale storico, cambiandogli però mood: “Abbiamo pensato renderlo più contemporaneo scegliendo un disegno con ispirazione giapponese, molto asciutto e lineare, tipico delle architetture del Sol levante, Paese dove mi sono recato molte volte negli ultimi anni e da cui ho tratto una forte influenza, forse anche per il contrasto con l’opulenza del rinascimento fiorentino in cui sono costantemente immerso”, conclude Dini.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design di luglio 2016.

Creative Minds: Tiziana Vercellesi

11 Lug

“Getting the excellence tailored on the Client’s wishes learning the ‘Eudaimonia’, the Aristoteles’s concept of happiness”.

 

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Gli interni che portano la firma di Tiziana Vercellesi sono preziose realizzazioni che, sotto un unico cappello concettuale, riuniscono pezzi d’eccellenza disegnati in modo esclusivo e creati sulla misura dei desideri del cliente. Ogni progetto è una sfida, uno sforzo che spinge l’architetto e tutto il team chiamato a lavorare con lei oltre i consueti confini, sfruttando al massimo le abilità di ciascuno. Con risultati sorprendenti. “La conoscenza dei materiali e il processo delle loro lavorazioni permette di estrarne l’anima, nella convinzione che questo sia visibile e sentito a opera conclusa.

Piemontese di origine, ha trascorso i primi 20 anni professionali tra Milano e Como dedicandosi ad abitazioni di lusso e ad alcuni yacht, amando particolarmente questi ultimi. Dal 2006, è in Toscana chiamata dal cantiere Sanlorenzo a Viareggio dove per 5 anni lavora come in-house architect, ideando gli interni di 19 barche alle quali in seguito si uniscono altre, dietro incarichi diretti di armatori. Oggi nell’ufficio a Marina di Carrara si dedica di nuovo ai due ambiti originari, gli yacht e le abitazioni private, spesso degli stessi clienti.

Nel lavoro, sono irrinunciabili in egual misura qualità, funzione ed estetica. Seleziono personalmente i materiali, tutto è disegnato su misura, collaboro al controllo delle costruzioni e aggiungo esclusività grazie all’esperienza e alla rete di abili artigiani e artisti capaci di realizzare pezzi speciali e unici. L’intento è quello di realizzare luoghi dove stare bene, sentirsi liberi, regalare un po’ di emozione ed essere felici”.

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Filosofia applicata alla perfezione a Scorpion, il 46 metri dislocante acciaio e alluminio varato nel 2015 da Sanlorenzo, frutto del lavoro a stretto contatto con l’armatore, dallo stile definito Fusion Art Deco, che indica la presenza di elementi contemporanei stilisticamente armonizzati con mobili Art Deco, con i motivi di William Morris e altri artisti dell’inizio del ventesimo secolo. Tutto l’arredo è realizzato in Italia ad esclusione dei mosaici di un artista moscovita. Se si osservano i dettagli, si notano “mobili complessi da realizzare, con curve e controcurve e impiallacciature preziose, materiali e finiture non comuni, inserti in metallo fatti da bronzisti esperti”.

Ogni ponte ruota intorno a temi voluti dall’armatore: sul lower deck troviamo le città Parigi, Londra, New York e Mosca, sul ponte principale, il verde della foresta e i soggetti della natura, sull’upper deck entriamo infine nel mondo marino, animato da pesci, tartarughe, meduse e da un vero acquario. Tutti esplicitati negli elementi decorativi: bassorilievi a foglia d’argento, foto artistiche retroilluminate, metalli tagliati a laser, madreperle, agate e ametiste si alternano e si fondono allo scopo. “Al centro della scala si staglia una scultura di vetro dall’elevata complessità realizzativa, desiderio dell’armatore che voleva come un grattacielo che dal basso verso l’alto portasse al mondo marino, posto in alto come sentimento di libertà. Ho imparato lavorando con lui l’aspetto aristotelico di Eudaimonia, di Felicità come purpose to achieve performing one’s function well.” Concetti che si ritroveranno anche nel progetto futuro dell’architetto: “uno yacht di 60 metri dove la personalizzazione di ogni elemento, anche se di stile diverso, sarà ugualmente forte e la ricerca della “Felicità” sottolineata dalla presenza di una zona benessere molto grande, con spa, palestra, attrezzature per il trattamento del corpo”.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design di maggio 2016.

Creative minds: Enrico Gobbi, leader di Team For Design

21 Giu

Ciò che rende un progetto vincente è il raggiungimento di una armonia complessiva di tutte le forme, la perfetta proporzione. Solo partendo da una matita e un foglio bianco si può conseguire questo obiettivo.”

Enrico Gobbi è la mente creativa di Team for Design e ogni sua creazione nasce con un tratto di matita sul foglio bianco: “Non vogliamo che l’aspetto informatico, fondamentale per la stesura finale del progetto, sovrasti quella che è la creatività massima di un disegno fatto a mano, che vince sempre”, ci racconta con grande decisione e verve. Nato a Venezia, dove l’acqua e la bellezza fanno parte del panorama, cresce respirando aria di mare ed è da subito attratto dalle imbarcazioni, anche se inizialmente è l’architettura civile a interessarlo di più. “A metà del corso all’Università di Venezia, ho cominciato a documentarmi sul mercato nautico, finché alla fine degli studi mi sono ritrovato totalmente innamorato di questo mondo. Non a caso mi sono laureato con una tesi su una nave e da lì è cominciato tutto”. Si trasferisce negli Stati Uniti, dove lo yacht design era già una realtà più matura, e si perfeziona con un corso di specializzazione, che lo porta subito alla collaborazione con lo studio Nuvolari Lenard, dove resta cinque anni, imparando moltissimo. Per poi mettersi in proprio con Team For Design, fondato nel 2005, dove oggi lavorano 9 progettisti internazionali. Il suo studio ha disegnato yacht di lusso esclusivi per cantieri navali rinomati e importanti clienti in tutto il mondo e la cifra stilistica del suo design sono le finestrature a taglio geometrico nello scafo: “inizialmente non erano capite. Nel 2005 tutti sceglievano forme curve, che abbiamo fatto anche noi per altri cantieri, ma queste erano le finestre che a me piacevano: pulite, minimaliste, senza tempo”.

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Elemento che torna anche in uno degli ultimi progetti dell’architetto, l’Aston 66 di Rossinavi. “La mission era creare un megayacht con tanti spazi interni, però veloce e dinamico. Se ne guardiamo il sideview, questo 66 metri ready-to-build sfugge dal foglio, sembra che stia già correndo. Le linee dritte, ma in tensione, e le finestrature lunghe e continue, non troppo alte, ma che danno grande visuale verso l’esterno, danno l’idea che questo sia uno yacht già in movimento”.

Proporzioni sportive che si notano anche “nell’upper deck, molto appoppato e basso in modo da lasciare ampio spazio alla prua, che ricorda il cofano pronunciato di una lussuosa coupé sportiva. Pur rimanendo una grande villa sul mare, con grandi spazi interni e tantissima luce”. Dotata di un tocco esclusivo per l’armatore, cui è riservata un’area di circa 70 mq, con cabina full beam a prua del ponte principale e due terrazze che sporgono su entrambi i lati, come se fossero le alette di una macchina sportiva. “All’esterno, l’effetto scenico lo troviamo a poppa, oggi considerata il biglietto da visita di un megayacht: nella piscina, una cascata passa tra due vetri e appare come se corresse nella lingua nera che arriva al ponte. E una speciale illuminazione fa sì che, a portellone aperto, una serie di barre a led della stessa lunghezza crei una cattedrale di ponti fino all’albero, gioco di luci ripreso dalle scalinate e dalle griglie d’aerazione sul main deck”.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht & Design di marzo 2016.

 

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