Archivio | febbraio, 2023

Creative minds: Pininfarina (Nautical)

16 Feb

Ci sono nomi che sono diventati simbolo di quello stile per cui l’Italia è famosa nel mondo, sinonimo di bellezza, eleganza e savoir faire. E Pininfarina è certamente uno di questi. La sua storia, lunga oltre 90 anni, ha visto uno sviluppo da impresa artigiana a gruppo internazionale: nata nel 1930, ha creato le carrozzerie di alcune delle automobili più belle del mondo, che hanno fatto la storia del design. Oggi ha oltre 500 dipendenti nelle sue sedi in Italia, Germania, Cina e Stati Uniti, ed è una casa del design a 360 gradi che opera in ogni settore, dall’automotive, a ogni tipo di mezzo di trasporto, dall’architettura, all’industrial design, in una miriade di progetti eterogenei accomunati dai tre capisaldi del suo design: eleganza, purezza e innovazione.  

Se Pininfarina è un brand che non ha bisogno di presentazioni, un approfondimento merita la sua divisione nautica, che getta le sue radici negli anni 80 del secolo scorso ed è oggi ricca di progetti in collaborazione con i maggiori cantieri internazionali, con yacht bespoke come Fincantieri Ottantacinque, Rossinavi Aurea, Super Sport 50 e 65, Tango Wallycento, e restyling di intere linee come avvenuto con Princess. Rappresentando un settore strategico, la divisione dispone di un team dedicato di otto designer, con a capo Daniele Mazzon, Chief Transportation and Yacht Designer. “Il team viene ampliato a seconda del progetto, attingendo al team architettura se dobbiamo disegnare interni, o automotive se si tratta di una barca sportiva. La direzione stilistica è nel nostro headquarter di Torino, ma lavora in interconnessione con gli altri designer del gruppo, in tutte le sedi: Torino, Miami, Shanghai. Ma non solo: la cross-fertilization avviene anche con i gruppi di lavoro che si occupano di verniciatura, virtual reality, rendering, augmented reality, modellazione 3D”.

Nel processo creativo “a  volte si parte da disegni digitali, altre volte da disegni a mano libera. Ma questo poco importa: sono solo mezzi che ci servono per stimolare i cantieri a realizzare qualcosa che non sia convenzionale”. Rompe decisamente gli schemi Oceanco Kairos, il progetto presentato all’ultimo Monaco Yacht Show, un 90 metri rivolto a clienti che vivono la barca in maniera statica, come una villa in mezzo al mare. Strabiliante quella che viene chiamata la piazza al centro della barca, aperta sul mare e connessa al cielo attraverso un foro passante con vetrate calpestabili, che lasciano entrare la luce grazie al design delle sovrastrutture, non puro esercizio di stile, ma funzionale a questa connessione tra cielo, mare e ambiente. “Oceanco voleva un nuovo Alfa Nero, un progetto disruptive, per armatori che arrivano in barca con l’elicottero o con il tender, entrando direttamente nella piazza, la parte più importante dello yacht, su cui affacciano tutte le cabine”. Continua Mazzon. “La collaborazione con gli architetti navali di Lateral Naval Architects è stata fondamentale: la sala macchine è stata spostata sotto il livello dell’acqua per permettere l’apertura laterale della piazza”.

Di tutt’altro stile, ipersportivo, il progetto Persico F70, realizzato in collaborazione con Carkeek design e Persico Marine, il cantiere che realizza le barche “volanti” della moderna America’s Cup. Il team nautico Pininfarina ha realizzato interni ed esterni di questo 70 piedi full foil: “abbiamo sfruttato la galleria del vento Pininfarina in un connubio di studi tra idrodinamica e aerodinamica, per arrivare a uno scafo che ha questa forma. È un’imbarcazione molto esclusiva, non solo per il costo. È come un’auto da corsa che si utilizza in pista. Rivolta a una ristretta schiera di clienti, che però esiste”, conclude Mazzon. Sportività che rimane nel dna Pininfarina anche nell’ultimissimo progetto E6, nella E Line, top di gamma delle barche sportive Elan, presentato al Salone nautico di Düsseldorf 2022.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato su THE ONE – Yacht and Design Carbon issue del 2021

Vacheron Constantin: Vermeer tascabile

16 Feb

Per i grandi e facoltosi collezionisti il limite esiste solo nella loro fantasia. Possono avere tutto: serie limitate, pezzi unici. Ma possedere qualcosa che gli altri non hanno non è ancora abbastanza. La vera emozione allora consiste nel farsi realizzare il proprio orologio esattamente come lo si è immaginato, da qualcuno in grado di trasformare la loro visione in realtà. Chiamarlo orologio risulta dunque riduttivo per opere d’arte di tale portata e costo (in milioni di euro), che sono oggi il corrispettivo di un quadro su commissione ai grandi maestri del Rinascimento. Che eleva su un piano ancora superiore determinati collezionisti.  

Come quello che ha commissionato a Vacheron Constantin Les Cabinotiers sonnerie Westminster – Omaggio a Johannes Vermeer, un orologio da tasca che include alcune delle complicazioni più raffinate dell’orologeria: Grande e Petite Sonnerie, la ripetizione minuti e il Tourbillon. Impreziosite dalla riproduzione a smalto di un dipinto realizzato dalle sapienti mani di Anita Porchet, la sopraffina smaltatrice elvetica, garanzia di eccellenza.

Per il brand è un impegno in termini di tempo e denaro notevole e in pochissimi hanno le competenze per farlo. Ma Vacheron Constantin ha un dipartimento apposito: Les Cabinotiers, il team che ricalca le orme dei maestri orologiai ginevrini del Settecento a cui i dignitari delle corti europee commissionavano i loro pezzi di pregio e che avevano i cabinet, il nome dei loro studi, ai piani alti dei palazzi di Ginevra, per avere maggiore luce.

Ci sono voluti otto anni per mettere a punto questo capolavoro in ogni suo aspetto tecnico e artistico. I maestri orologiai hanno creato un nuovo movimento a carica manuale, che sarà usato solo per questo esemplare: il calibro 3671, con regolatore a tourbillon (visibile sul lato fondello), ripetizione minuti e Grande e Petite Sonnerie a carillon Westminster, una delle suonerie più complicate da realizzare, che prende il nome dalla campana del Big Ben di Londra, di cui riproduce la melodia prodotta da 5 martelletti che battono su altrettanti gong. Un doppio bariletto ne aumenta l’autonomia, di circa 80 ore per le indicazioni orarie e circa 16 ore in modalità Grande Sonnerie.

Il cuore estetico di questo pezzo unico è il coperchio del fondello, sul quale Anita Porchet ha dipinto una miniatura de La ragazza con l’orecchino di perla del pittore olandese Johannes Vermeer (1665), secondo la tecnica antica chiamata “smalti di Ginevra”, che consiste nell’applicare i colori su uno strato di smalto bianco, che rappresenta la sua tela. Trattandosi di una miniatura di 98 mm di diametro, l’artista ha usato il microscopio binoculare per realizzarne tutti i dettagli e i chiaroscuri e al termine di ogni fase ha stabilizzato il dipinto con la cottura in forno, senza possibilità di ritocchi. Solo per il turbante, sono state necessarie due settimane di lavorazione, mentre per lo sfondo nero, colore che tende a ossidarsi, sette tonalità di nero. In totale, Porchet ha impiegato due anni di lavorazione per portarlo a termine.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera – Dorso Orologi di dicembre 2021

Tudor e gli All Blacks: nati per osare

16 Feb

Proviamo a immedesimarci: la palla si può passare solo indietro, quindi l’unico modo per avanzare e andare a fare meta nel rugby è brandire la palla in mano e correre, correre, cercando di non farsi placcare. Ottanta minuti di gioco effettivi di pura adrenalina, in cui l’infortunio è sempre dietro l’angolo. Occorrono passione, muscoli, tattica. Ma soprattutto coraggio. È nato per osare Beauden Barrett, vero talento del team più forte di tutti i tempi, la nazionale neozelandese degli All Blacks, che ha giocato contro l’Italia il 6 novembre scorso. “Nelle partite e in allenamento spesso è più facile fare la cosa sicura ed essere prudenti, ma se vuoi migliorare e metterti alla prova devi spingerti oltre i tuoi limiti”.

Il trentenne, miglior giocatore al mondo nel 2016 e 2017, insieme a tutta la nazionale è ambasciatore di Tudor, con cui condivide lo spirito autentico legato alle proprie radici e la robustezza. Gli orologi del marchio fondato da Hans Wildorf sono infatti progettati per resistere nelle situazioni più estreme e sono stati al polso degli sportivi più avventurosi. “Anche io mi sto allenando in tutti i tipi di condizioni, costretto ad evolvermi, adattarmi e a giocare sotto pressione”, aggiunge. Piena espressione del motto Tudor “Born to dare”, che gli All Blacks incarnano alla perfezione.

Dall’anno della sua fondazione, infatti, il 1884, la nazionale kiwi ha vinto più di tre partite su quattro, un’enormità. E il suo regista, Barrett, è una leggenda, ma anche parte di una squadra che è più leggendaria di lui. Infatti mantiene un understatement tipico di chi si sente parte di un tutto che ha un valore superiore. Rappresentato dalla divisa nera con la felce argentata: “sono grato di aver avuto l’opportunità di indossare questa maglia più di 100 volte. Non sappiamo mai quando sarà l’ultima, nel frattempo si tratta di onorarla e di valorizzarne l’eredità ogni volta che possiamo”. Ma come si diventa capofila del team più leggendario al mondo? “Richiede tempo. Crescita personale e sviluppo negli anni. È importante imparare dai leader del passato e portare il tuo stile di leadership. Essere autentici è tutto: le persone ti seguiranno se sei genuino e dai l’esempio”.

Così come il marchio Tudor è innovativo, ma legato alla tradizione, gli All Blacks sono una nazionale che si rinnova di continuo, ma custode di un passato glorioso, inscindibilmente legato ai Maori, la cui lingua e identità vengono mantenuti vivi con la Haka, la celebre danza con cui si apre ogni partita. “Fa parte di chi siamo e di chi rappresentiamo. Si tratta di connetterci come una squadra prima della battaglia, per sentire la wairua (il proprio spirito senziente, ndr) e guardare i nostri avversari negli occhi”, conclude Barrett. Che incarna l’essenza del vero campione.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera – Dorso Orologi di dicembre 2021

Richard Mille: l’ultima sfida dei samurai

16 Feb

Quando alta orologeria e arte si incontrano nascono modelli destinati a fare scalpore. È questo il caso dell’ultimo RM 47 Tourbillon, uno straordinario esempio di abilità nell’incisione e nella smaltatura che rendono l’armatura del samurai che veste il movimento una scultura tridimensionale, la cui bellezza cattura l’attenzione anche di un occhio non esperto. È l’ultima creazione di Richard Mille, marchio conosciuto principalmente per la tecnologia e il carattere audace dei suoi modelli, ma che già da qualche anno rende omaggio alla tradizione orologiera utilizzando le tecniche del passato, unitamente a quelle del presente, per creare opere uniche. Nel 2014 per esempio era nato l’RM 26-02 Tourbillon Evil Eye, con un occhio diabolico sul quadrante circondato da fiamme smaltate, mentre nel 2019 l’RM 57-03 Tourbillon Sapphire Dragon, con un superbo dragone realizzato in un mix di zaffiro e oro.

Questo è invece l’anno dell’RM 47 Tourbillon, un tributo all’antica arte giapponese e alla cultura dei samurai, realizzato in 75 esemplari, la cui ideazione e creazione ha richiesto oltre tre anni di meticoloso lavoro manuale. L’armatura del samurai è incisa in oro giallo, materiale caro alla tradizione nipponica e poi smaltata in alcune sue parti per darle la tridimensionalità necessaria a esaltarne l’espressività. Un lavoro svolto da una coppia di artigiani che hanno il loro atelier proprio alle pendici del Giura, in Svizzera: il maestro incisore Pierre-Alain Lozeron e la smaltatrice Valérie Lozeron. “Per questo progetto, siamo stati contattati nel 2019”, racconta l’incisore. “Si trattava di creare un’armatura da samurai completamente integrata nel movimento con dispositivo tourbillon.

L’idea iniziale è sembrata subito una missione impossibile. I primi campioni li abbiamo realizzati con mastice da modellazione, seguiti da prototipi in ottone. E dopo molti tentativi siamo arrivati al progetto definitivo”. Che comprende molti dettagli appartenenti al mondo dei samurai: l’elmo protettivo, il kabuto, con la sua smorfia per spaventare gli avversari, le due spade con le lame rivolte verso l’alto, le due piume di falco incrociate a ore 6, sopra al tourbillon, che rappresentano lo stemma della famiglia Asano, emblema dello spirito bushido, il codice di condotta dei guerrieri-samurai diventato famoso in tutto il mondo attraverso la letteratura.

“Ho avuto bisogno di 20 scalpelli diversi per sviluppare le strutture e le trame dell’armatura. In totale, sono state necessarie 16 ore di incisione per creare gli undici elementi che danno vita a questa decorazione”, aggiunge Pierre-Alain. “Ma è stato quando è stato colorato con smalto traslucido che lo straordinario lavoro di incisione ha davvero preso vita”, sottolinea la smaltatrice. Che con vari tentativi ha dovuto scegliere quali parti colorare e quali lasciare in oro. “Aggiungendo al tempo di incisione le nove ore per pezzo necessarie per la verniciatura, sono state necessarie più di 24 ore in totale per una singola armatura. Un compito monumentale”. Armatura che riveste fronte e retro il movimento RM 47, un calibro di manifattura a carica manuale con un’autonomia fino a 72 ore, con platina e ponti scheletrati rifiniti a mano realizzati in titanio grado 5 micropallinato rivestito in Pvd grigio.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera – Dorso Orologi di maggio 2022

Montblanc punta all’Everest. Senza ossigeno

16 Feb

C’è un detto che afferma: “Se un uomo dice di non aver paura della morte, o sta mentendo, o è un Gurkha”. Ovvero quei soldati di nazionalità nepalese arruolati nell’Esercito britannico che hanno una grande reputazione di forza e coraggio. Qualità che non mancano certo a Nirmal Purja, l’alpinista nepalese (naturalizzato britannico) di 38 anni protagonista del documentario 14 vette: scalate ai limiti del possibile (visibile su Netflix) e del libro Oltre il possibile (Ed. Solferino), che è diventato gurkha a 18 anni ed è poi stato il primo a entrare nel reparto speciale Special Boat Service, una delle unità militari d’élite del Regno Unito. Prima di dedicare la vita alla sua vera passione: l’alpinismo. Nel quale mostra le stesse doti di audacia e forza interiore che non si affievoliscono di fronte a nulla. Neanche a un’impresa da tutti considerata impossibile: scalare le 14 vette più alte del mondo in meno di sette mesi, quando prima di lui il record era di poco meno di 8 anni. Montagne con una cosa in comune: superano tutte gli 8mila metri, sono dunque nella cosiddetta “zona della morte” dove, a causa della scarsità di ossigeno e delle temperature glaciali, la vita umana non può resistere oltre un ridotto limite di tempo. Per molti, più che un progetto, una spacconata destinata a fallire. E invece Nimsdai (come viene anche chiamato) non solo ci è riuscito, ma ci ha messo sei mesi e sei giorni.

Dietro a un’apparenza da orgoglioso “self made man” si cela un’anima profonda: Nirmal ha compiuto questa impresa per “rappresentare il Nepal e il contributo che i nepalesi hanno dato all’alpinismo mondiale”, scrive sul suo profilo Instagram. Un orgoglio per gli sherpa, uomini “sempre in prima linea per rendere l’impossibile, possibile. Ma anche per ispirare ognuno a sognare in grande, ad avere grandi obiettivi nella vita e impegnarsi per raggiungerli, senza preoccuparsi di quale sia il background”. Le sue origini infatti sono umili e l’infanzia dura. Ma mentre è arruolato, scopre di avere delle doti fisiche speciali, una capacità di acclimatarsi ad elevate altitudini superiore a tanti altri alpinisti, dovuta a una migliore distribuzione di ossigeno alle cellule del corpo, cervello incluso, che lo rende più performante e lucido nelle decisioni proprio in quella zona della morte dove molti iniziano ad avere allucinazioni e problemi fisici.

Le 14 vette che lo hanno reso una star sono state scalate con l’aiuto di ossigeno, ma una delle sue prossime avventure, programmata per la fine di maggio, sarà quella di ascendere l’Everest senza ossigeno supplementare, come nell’alpinismo classico. Per questo progetto, Montblanc – di cui Nirmal è divenuto ambasciatore – ha realizzato il 1858 Geosphere Chronograph 0 Oxygen, crono con funzione di ora universale dal nuovissimo movimento MB 29.27. Ma non è la sola novità, perché dall’interno dell’orologio è stato tolto l’ossigeno per evitare l’appannamento dovuto ai drastici sbalzi di temperatura e prevenire l’ossidazione. Come? Il movimento viene incassato all’interno di una sorta di teca concettualmente simile nella forma a una sabbiatrice da banco, una struttura in cui l’operatore agisce infilando le mani in due aperture con guanti integrati, osservando ciò che fa attraverso una lastra di cristallo superiore. L’ossigeno viene sostituito con l’azoto, un gas non inquinante dal momento che l’aria che respiriamo ne è composta per il 78%. Il movimento dello 0 Oxygen adotta poi lubrificanti speciali adatti a mantenere le proprie caratteristiche anche a temperature estreme di -50° C. Il modello monta inoltre guarnizioni particolari non solo tra la cassa, il fondello e il cristallo, ma nella corona e nei pulsanti cronografici. Per non far uscire l’azoto (o entrare l’ossigeno) una volta estratta o azionati.

Articolo scritto da: Samuela Urbini

L’articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera – Dorso Orologi di maggio 2022

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