“Se tornassi indietro, rifarei l’incidente”.
Architetto Michela Cescon. Doveva esserci scritto questo sul suo biglietto da visita. Invece, una notte di tanti anni fa, quando lei di anni non ne aveva neanche venti, un ubriaco investe lei e un suo amico in Vespa, lei si frantuma un femore e rimane ferma per mesi. Il giorno dopo avrebbe dovuto dare il suo primo esame alla Facoltà di architettura.
Invece questo evento le fece trovare il coraggio di dire alla sua bella famiglia trevigiana doc che la sua strada non era a Treviso, come da generazioni tutti in casa Cescon avevano fatto. Ma a teatro.
E dopo due anni era sul palco, come protagonista in uno spettacolo di Luca Ronconi. Segno del destino? Dopo il successo al teatro è passata al cinema e ora
porta avanti entrambe le carriere. Ma ecco per esteso il suo racconto.
Lei ha debuttato al cinema nel 2004 con Matteo Garrone, nel film Primo Amore: un’interpretazione impegnativa, in cui è dovuta dimagrire da 60 a 45 kg in quattro mesi. Come è avvenuto l’incontro col regista? Avevo 28 anni, venivo da dieci anni di palcoscenico e stavo recitando un testo “off off”, Bedbound, in un teatrino romano, per il quale ho vinto il premio Ubu e il premio Eleonora Duse. Facevo la parte di una ragazza poliomelitica grave, ero tutta storta, il corpo molto segnato. Venne a vedermi Matteo Garrone, al quale piacque lo spettacolo, tanto che venne in camerino per conoscermi. Per combinazione io avevo visto due dei suoi primi film, Estate romana e Terre di mezzo. Ci fu un scambio di stima reciproca. Dopo un anno e mezzo mi chiamò chiedendomi “quanto pesi”? Risposi: circa 60 kg. E lui: “ah no, la mia protagonista è molto magra”. Tre giorni dopo mi richiamò: “Ci ho pensato: ti va di fare un film dove devi dimagrire un bel po’? E io dissi “ci sto”. Fu per me un’esperienza unica.
Qui conobbe anche Vitaliano Trevisan, scrittore e attore vicentino, che ha ritrovato sul set diretto da Alex Infascelli, Nel nome del male. Come si è preparata per questo ruolo che parla di satanismo? Nel film sono la madre di questo personaggio che sparisce. Quando ho letto la prima volta la sceneggiatura ci rimasi male, perché non capivo come mai la madre non potesse fare come il padre, partire alla ricerca di questo figlio scomparso. Col tempo, anche con la mia maternità, ho capito che la cosa più difficile ai nostri giorni è quella di fermarsi un attimo e osservare i nostri figli, per come sono. E questa è una madre che non si ferma a osservare.
Come è iniziata la sua carriera a teatro? Alle superiori ho frequentato dei corsi di teatro che mi piacevano tantissimo, ma non avrei mai pensato di farne una professione. Dopo l’incidente che ebbi al primo anno di università, e nei mesi che ci sono voluti per rimettermi in piedi, l’anima, o l’inconscio, chiamatela come volete, credo che abbia lavorato tanto. Sentendomi una sopravvissuta, ho detto ai miei genitori che volevo fare teatro. Dopo due anni e mezzo sono salita sul palco come protagonista in uno spettacolo di Ronconi. Nella vita spesso non ti accorgi di essere seduto. I lutti, o gli incidenti, ti aprono gli occhi. E se tornassi indietro, rifarei l’incidente: è stato lo choc che mi
ha dato il coraggio di cambiare.
Quando è arrivato il successo, quale regalo si è fatta? La mia prima entrata maggiore è stata per Primo Amore.
Con quei soldi mi sono prodotta Giulietta (degli Spiriti), l’ultimo spettacolo che ho fatto con Valter Malosti, che per me ha significato un grande punto di svolta. Ancora oggi, comunque, molto di quello che guadagno va a finanziare gli spettacoli a teatro.
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