Archivio | marzo, 2012

L’arte della Pixar

28 Mar

Avete amato la trilogia di Toy Story, Alla ricerca di Nemo, Ratatouille, Cars, Wall-E, Gli Incredibili e Up? Non perdete la mostra Pixar, 25 anni di animazione, curata da Elyse Klaidman e, in Italia, da Maria Grazia Mattei, che dopo essere stata al MoMA di New York, ora è in tour mondiale e, in anteprima europea, è stata aperta fino al 14 febbraio al PAC di Milano e ora si è trasferita a Mantova a Palazzo Te (fino al 10 giugno 2012, www.centropalazzote.it). Non vedrete solo la storia dei film d’animazione e dei cortometraggi della Pixar, ma l’arte che è la base di ognuno di essi. E che dal prodotto finale nessuno si aspetterebbe mai.

Il simbolo della Pixar, tratto da un vecchio cortometraggio.

Molti non sanno che la maggior parte degli artisti che lavorano in Pixar utilizzano i mezzi propri dell’arte (il disegno, i colori a tempera, i pastelli e le tecniche di scultura), come quelli dei digital media”, ha ricordato John Lasseter, Ceo dei Walt Disney e Pixar Animation Studios durante la conferenza stampa d’apertura. “La maggior parte delle loro opere prendono vita durante lo sviluppo di un progetto, mentre stiamo costruendo una storia o semplicemente mentre guardiamo un film. La ricchezza del patrimonio artistico che viene plasmato per ogni film raramente esce dai nostri studi, ma il film finito non sarebbe possibile senza di esso”.

samuela urbini giornalista

Una tavola preparatoria per Wall-E. Eve, la robottina del futuro

La mostra, realizzata in collaborazione con The Walt Disney Company Italia, presenta invece proprio questo: la fase creativa e nascosta dei maestri dell’animazione mondiale. E illustra in maniera molto efficace i tre elementi essenziali di ogni film Pixar: il personaggio, la storia e il mondo immaginario in cui la storia si sviluppa. Come ha ricordato anche Lasseter: “La storia deve essere avvincente e imprevedibile. I personaggi devono essere interessanti e attraenti, anche i cattivi. E infine il contesto dev’essere un mondo credibile. Non realistico, ma credibile. Per fare un film realistico, basterebbe una macchina da presa. Per far approdare i personaggi di Cars 2 in Italia, invece, abbiamo dovuto costruirla l’Italia. Ed è soltanto il mio grande amore per questo Paese che mi ha consentito di creare tutti quei dettagli che hanno reso la nostra ricostruzione così credibile”. Scoprire il processo creativo della Pixar è sbalorditivo come la bellezza dei suoi film. E vedere le tavole disegnate a mano e firmate dallo stesso John Lasseter, così come quelle degli altri disegnatori, dà un’emozione particolare.

La maquette di Carl Fredricksen, il protagonista di "Up!"

E che dire delle maquette (sotto, quella di Carl Fredricksen, il protagonista di Up!), le sculture d’argilla che riproducono i personaggi in 3 dimensioni, dalle quali gli animatori prendono spunto per rendere bene la tridimensionalità del personaggio nel film? Sembrano avere un’anima. E siamo sicuri che un’altra cosa farà impazzire gli appassionati Pixar: il peloso Sullivan che è l’unico pupazzone in dimensioni reali (supera il metro e 80 cm) che vi dà il benvenuto all’ingresso della mostra, in compagnia del suo piccolo assistente verde monocolo Mike Wazowski. Da qui si entra nel sogno.

John Lasseter racconta

“L’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte”. È questo il motto del capo carismatico dei Walt Disney e Pixar Animation Studios, il 54enne John Lasseter. In occasione dell’inaugurazione della mostra a Milano era presente e ha tenuto un bel discorso di cui riportiamo qualche pillola. “Dal 1979 agli inizi degli anni 80 alla Lucas Film riuscii a raccogliere l’eccellenza dei ricercatori della computer grafica. Ero il primo animatore di formazione tradizionale a entrare a far parte di questo mondo tecnologico. La matematica non è mai stata il mio forte, però io sapevo disegnare e creare dei personaggi con delle emozioni. Ed ero a contatto con giovani che non solo sapevano usare i programmi di animazione, alcuni li avevano proprio creati! Mi sono reso subito conto che non avrei mai saputo usare quei programmi bene quanto gli specialisti. Così mi sono messo al loro fianco, sfruttando il mio bagaglio.

Il cortometraggio più bello della Pixar!

Alla Disney avevo imparato a creare dal nulla un personaggio con emozioni che si esprimevano attraverso il movimento. Lavorando con queste persone, ho avuto grandissime ispirazioni dalla tecnologia, idee che non avrei avuto altrimenti. Come ho già detto: l’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte. La tecnologia da sola non ha mai divertito nessuno. È quello che si fa con la tecnologia che può divertire. Noi usiamo l’arte e la tecnologia per intrattenere la gente. Ma al di là di questi film ci sono migliaia di opere d’arte che ci ispirano e che ci aiutano e tutto questo non viene mai messo in mostra. Oggi abbiamo l’occasione per farvi vedere tutto questo. Per ognuno il senso di realizzazione è diverso. Per alcuni è fare un blockbuster. Per me è potermi sedere di fronte a una platea e osservarla mentre si diverte guardando un film Pixar”.

Il prossimo film Disney Pixar

C’è sempre grande attesa per i film d’animazione Pixar. Dopo Cars 2, uscito nel 2011, il 2012 sarà l’anno di Brave – Coraggiosa e ribelle, ambientato nelle highland scozzesi, che racconta le gesta della principessa Merida, un’eroina dai lunghi capelli rossi e ricci, che sfida un’antichissima usanza scatenando involontariamente il caos e che dovrà imparare cos’è il vero coraggio prima che sia troppo tardi. Uscirà a giugno negli Stati Uniti e il 5 settembre 2012 in Italia.

samuela urbini giornalista

Merida, la protagonista di Brave - Coraggiosa e ribelle

Brad Pitt e le sue priorità

21 Mar
ON Brad Pitt father and actor

L'articolo su Brad Pitt pubblicato su ON di gennaio 2012

Eppure ci dev’essere qualcosa che non ha. Brad Pitt pare avere tutto: talento, bellezza, fama, sei figli e Angelina Jolie. È poliedrico, ama il suo ruolo di padre, di attore, di produttore e tutto pare venirgli bene. Eppure avrà anche lui qualche incertezza, qualche debolezza, qualche paura. Non è neanche di quegli attori prezzemolini, sempre presente sui giornali e in tv, anzi, all’alba dei suoi 48 anni (sì, proprio 48, compiuti lo scorso 18 dicembre) si sente parlare di lui solo in occasione dell’uscita dei suoi film, negli ultimi anni scelti con gran cura e attenzione. Come nel caso di L’arte di vincere (guarda il trailer), nei nostri cinema a partire dal 27 gennaio, che molti pensano sia un film sul baseball, ma in realtà è molto di più. In questo film Brad Pitt, che del lungometraggio ispirato al libro Moneyball The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis è anche uno degli ideatori e produttori, interpreta il ruolo del protagonista, ovvero quel Billy Beane general manager degli Oakland A’s, una squadra militante nella Major League che si trova in difficoltà. Di fronte all’ennesima sconfitta in un campionato in cui le altre squadre molto più ricche fanno incetta dei migliori giocatori, Beane fa un incontro cruciale con un neolaureato di Yale, genio dell’economia che sostiene che in base ad attente analisi statistiche computerizzate è possibile aggiudicarsi giocatori validi sottovalutati dal mercato, e perciò ancora abbordabili. “L’arte di vincere è una classica storia di perdenti,” ha dichiarato Pitt durante la première del film. “Come potranno sopravvivere? Anche se mostreranno il loro talento, saranno risucchiati dal mercato e dalle squadre con tanti soldi. Per questi ragazzi tutto è stato già deciso, non potevano combattere la guerra di altri, avrebbero perso in ogni caso. Hanno dovuto esaminare di nuovo tutto, ricercare nuove conoscenze, trovare una nuova forma di giustizia. In tutte le maniere possibili, Billy va contro un’istituzione. Molti uomini intelligenti hanno dedicato la loro vita a fare una cosa simile,” continua Pitt. “Dal momento in cui metti in discussione una parte del sistema, però, sei etichettato come eretico o messo al bando come un folle”. Ed è quello a cui è andato incontro anche Beane, che però ha tenuto duro.

L'arte di vincere locandina cinema

La locandina di "L'arte di vincere", il cui titolo originale è "Moneyball"

L’arte di vincere è un film che tratta temi universali e quanto mai attuali. “Affronta il problema di come noi stessi valutiamo le cose” ha dichiarato Pitt. “Come ci misuriamo gli uni con gli altri, come valutiamo noi stessi, e quali valori consideriamo quando decidiamo chi sia un vincitore. Il film si pone la domanda di come definire e stabilire le regole del successo. Dà grande importanza alla silenziosa vittoria personale di Beane, una vittoria che diventa per lui la conquista del monte Everest. Alla fine della giornata, tutti noi speriamo che quello che stiamo facendo avrà un certo valore, che vorrà dire qualcosa e io penso che sia ciò che questo personaggio ci richiede”. Lo abbiamo visto: L’arte di vincere è un buon film. L’ennesimo, dopo The Tree of Life, il film di Terrence Malick uscito la scorsa primavera, in cui Pitt era un capofamiglia alle prese con la mancata realizzazione del suo sogno americano, evento che manda in crisi i suoi valori e quelli da tramandare ai suoi due figli, oltre ad aprire il campo a riflessioni esistenziali comuni a ogni essere umano (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo).

Eppure anche a Pitt deve mancare qualcosa. L’abbiamo cercata, e tra tutte le sue dichiarazioni recenti possiamo  affermare di aver trovato un’unica magagna: Pitt non ha molto tatto. In un’intervista pubblicata lo scorso settembre sulla rivista Parade Magazine, in occasione dell’uscita americana del film L’arte di vincere, ripensando al suo passato ha dichiarato: “Ho passato gli anni 90 a nascondermi, a schivare la cacofonia della celebrità. Ho iniziato a sentirmi patetico. Mi fu presto chiaro che stavo cercando di trovare un film che parlasse di una vita interessante, ma io stesso non stavo vivendo una vita interessante. Penso che il mio matrimonio (con Jennifer Aniston, ndr) avesse a che fare con tutto questo. Cercavo di fingere che il mio matrimonio fosse qualcosa che in realtà non era”. ‘Grazie  Brad’, deve aver pensato la povera Aniston che già dal confronto con la Jolie è purtroppo sempre uscita maluccio e che ora, a distanza di 20 anni, riceve pure il colpo di grazia! Poco dopo, però, il perfetto Pitt si è accorto della gaffe ed è arrivata la smentita: “Mi addolora essere stato interpretato in questo modo. Jennifer è una donna incredibilmente altruista, appassionata e divertente, e resta mia amica. È una relazione importante alla quale tengo moltissimo. Ciò che volevo far emergere non è che Jen era scialba, ma che lo stavo diventando io e di questo sono io il responsabile”. Insomma, si sa che le smentite hanno sempre meno eco delle affermazioni, e in questa si parla anche di essere scialbe…

On fastwebtv magazine

La copertina di ON di Gennaio 2012

Tralasciando l’amore per le sue ex o attuali compagne, l’esperienza che l’ha davvero cambiato però è quella della paternità, come lui stesso ha dichiarato: “Il più grande cambiamento della mia vita lo devo all’essere diventato padre. In un certo senso, i film che faccio diventano le estensioni cinematografiche di questo cambiamento. The Tree of Life è un film molto personale per Terrence Malick, ma mi ha dato occasione di sentirmi parte di un progetto grande e ambizioso. Diventare padre ha modificato tutto il mio modo di vivere e, devo ammetterlo, inizialmente mi ha un po’ spaventato. Da quando sono padre i miei figli sono l’unica cosa importante, il mio benessere è passato nettamente in secondo piano. La loro sicurezza e qualità di vita sono la cosa che conta di più per me, devo sempre avere la certezza che stiano tutti bene per poter dormire sonni tranquilli. Essere padre l’ha anche cambiato professionalmente: “Ora sono molto più attento a quali film scelgo, perché la notorietà mi offre la possibilità di fare selezione. Per esempio, non sono interessato a progetti in cui gli attori sono intercambiabili, dove uno vale l’altro. Vorrei far parte di progetti cinematografici che in futuro significhino qualcosa per i miei figli e che li rendano orgogliosi di avermi come padre”.

Qual è il suo film più bello?

Brad Pitt

Thelma & Louise

Prima di diventare attore, ha fatto lavori curiosi, dal trasportatore, all’autista di spogliarelliste in limousine, al pollo travestito per la catena di ristoranti El Pollo loco. Poi arriva Ridley Scott con Thelma & Louise (1991), e tutto cambia.

Fight club

Negli anni 90 infila un successo dietro l’altro: In mezzo scorre il fiume di Robert Redford (1992), Una vita al massimo di Tony Scott (1993), Intervista col vampiro e Vento di Passioni (1994), Seven, L’esercito delle 12 scimmie (1995), Sleepers L’ombra del diavolo e Sette anni in Tibet (1997) e Fight Club (1999).

Anche negli anni 2000 sono tanti i suoi film ben riusciti, tra cui: Snatch – Lo strappo di Guy Ritchie (2000), Spy Game e Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco di Steven Soderbergh (2001), Troy e Ocean’s Twelve (2004), Mr. & Mrs. Smith (2005), Babel (2006) e Ocean’s Thirteen (2007).

Inglorious Basterds - Bastardi senza gloria

Tra i più recenti, Burn After Reading – A prova di spia di Joel ed Ethan Coen (2008), Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher (2008), Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino (2009), The Tree of Life, di Terrence Malick e L’arte di vincere (2011).

Shia LaBeouf: da Robert Redford a Marilyn Manson

15 Mar
Shia LaBeouf Transformers

Shia LaBeouf, articolo pubblicato su ON di dicembre 2011

Contrariamente a quell’aria da bravo ragazzo, Shia LaBeouf è davvero un tornado. Uscite dal set, guardatelo in qualche intervista, o in vesti diverse da quelle attoriali, e vedrete la sua vera indole da ragazzaccio dall’ironia pungente e dall’energia contagiosa di un ex comico da stand-up comedy, quegli spettacoli umoristici in cui l’attore sta in piedi su un palco
da solo e dice le sue battute sperando che il pubblico rida. Una sorta di Zelig, per intenderci, ma con la difficoltà di non avere le persone in platea con l’applauso guidato. Il pur giovanissimo LaBeouf, oggi 25enne, ha infatti un grandissimo feeling col pubblico dal vivo, che ha imparato a conoscere, ascoltare e rispettare durante la sua gavetta. E si vede quando va nei grandi show americani tipo Jimmy Kimmel Live, o al Late Show di David Letterman: è trascinante. Pare che anche sul set del suo ultimo Transformers 3 facesse morire dal ridere i colleghi. Dark of the Moon è infatti il terzo e ultimo capitolo della saga diretta da Michael Bay in cui vedremo l’intraprendente ed eroico Sam Witwicky, alias Shia LaBeouf, in azione. Dal primo Transformers uscito nel 2007 che fu un successo planetario, con oltre 700 miliardi di dollari incassati in tutto il mondo, al secondo La vendetta del caduto (2009) che ha guadagnato 836 miliardi, Sam continua a trovarsi nel bel mezzo di una lotta tra la vita e la morte contro le legioni dei robot cattivi, i Decepticons, in guerra contro gli Autobot, i robot buoni con cui Sam ha stretto amicizia.

Dalle serate comiche nei club di Los Angeles ai 15 milioni di dollari di cachet per questo film, ne è passata di acqua sotto i ponti. Shia 5 anni fa prendeva 400mila dollari a film, oggi quasi 40 volte tanto. Notevole, così come il talento di questo giovane nato a Los Angeles nel 1986 da una famiglia un po’ svitata, per usare un eufemismo, di cui lui oggi ride, probabilmente per esorcizzare. Un papà di origini francesi e cajun (un gruppo etnico costituito dai discendenti dei canadesi francofoni, deportati in Louisiana a metà del 1700), di professione clown, che ha vissuto anche in Francia per studiare la commedia dell’arte, con gravi problemi di tossicodipendenza. Tanto che Shia ha dichiarato in passato “sono cresciuto in una situazione in cui le droghe erano un demone. Vedere tuo padre in crisi di astinenza da eroina è qualcosa che ti tiene lontano da certe cose”. E una mamma ebrea americana (Shia in ebraico significa “dono di Dio”), ballerina, che ha divorziato dal padre presto per andare a vivere col figlio unico a Los Angeles, dove Shia ha frequentato la prestigiosa Hamilton Academy of Music. Lui infatti suona molti strumenti, tra cui la batteria. Da piccolo, insieme ai genitori si vestiva spesso da clown e andava a vendere hot dog nel parco di fronte a casa. Pare che la madre abbia anche venduto collanine per strada per mantenere la famiglia.

Ben presto proiettato nel mondo dei video e del cinema, nel 2003 ottiene una parte in Charlie’s Angels – Più che mai e un anno più tardi un ruolo secondario in Io, robot e nel 2005 sarà accanto a Keanu Reeves in Constantine. Il 2006 è l’anno della svolta: notato da Steven Spielberg, il grande regista lo ingaggia per il thriller Disturbia, come protagonista. A 21 anni, entra definitivamente nella lista dei nomi che contano a Hollywood. Spielberg è produttore esecutivo anche del nuovo franchise Transformers e lo fa assumere, di nuovo come protagonista. Il film ha un successo commerciale colossale e lui diventa un volto noto. Poi Spielberg decide di fare il quarto e ultimo episodio di Indiana Jones e affianca ad Harrison Ford indovinate chi? Esatto, proprio Shia, che interpreta lo scapestrato figlio motociclista del protagonista. Il film non è un grande successo, ma fa curriculum. Seguono infatti il secondo e terzo Transformers, nonché il sequel di un altro film cult, Wall Street il denaro non dorme mai (2010), diretto da Oliver Stone. Per chi si chiedesse se ci sarà un T4, ha risposto in un’intervista rilasciata all’Associated Press: “Io ho finito. Sono sicuro che ne faranno degli altri, è un franchise ancora molto vivo, ha ancora un valore. Penso che la gente andrà a vederlo. Ma non so se io posso dare ancora qualche contributo. Nessuno si cura più di Sam, ha salvato il mondo due volte e in qualche maniera è stato messo in un angolo. È un ragazzo che si è dato una ragion d’essere aiutando gli Autobot, ma ora i robot non hanno più bisogno di lui”.

Shia La Beouf in The wettest County in the world John Hillcoat

Nel frattempo LaBeouf si è dato anche alla regia, di videoclip. Il primo, Maniac di Kid Cudi, è stato notato dal trasgressivo cantante Marilyn Manson che l’ha voluto per dirigere il video del singolo Born Villain che anticipa l’uscita del suo ottavo album. Si dice che questo brano e il suo video siano ispirati al Macbeth di Shakespeare per i testi e a Un cane andaluso di Luis Buñel per la scelta iconografica. Il clip è tecnicamente molto bello, ma con i classici temi “forti” del cantante, con violenze, ogni tipo di martirio di corpi, assurdità come un occhio impiantato in una vulva, e un finale da film splatter. LaBeouf è anche questo, e non ve lo aspettereste. Intanto questo mese esce negli Usa il suo nuovo film, The Wettest County in the World, diretto da John Hillcoat (The Road) e Shia è sul set del prossimo film di Rober Redford, dove sarà protagonista: The Company you keep, con un cast stellare, da Stanley Tucci a Susan Sarandon, dallo stesso Redford a Nick Nolte. In questo film LaBeouf è un giovane giornalista che intraprende un’inchiesta sul passato turbolento di un vecchio avvocato e attivista politico (Redford). Non vediamo l’ora di vederlo anche in questi ruoli drammatici.

HOBBY

Il bellissimo bulldog Brando di Shia LaBeouf

Nato a Los Angeles nel 1986 (25 anni), ha frequentato la Magnet School of performing art alla USC. Ama la musica, che ha studiato alla Hamilton Academy of Music di Los Angeles, insieme a colleghi come Emile Hirsch. E i cani: ha un bulldog inglese di nome Brando, da cui non si separa mai.

L’ESORDIO

E’ apparso le prime volte in video a soli 12 anni, nella serie tv Caroline in the city e in due film, Monkey Business e The Christmas Path.

L’AMORE

Dice che ama le ragazze more, misteriose e con molta personalità. Tra le sue ex, Megan Fox e Carey Mulligan. Oggi è fidanzato con la stilista Karolyn Pho.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: